L’intervista. Valtorta (XL): “Dalle sollecitazioni iper-tecnologiche verranno nuove identità”

La cultura del Terzo Millennio viaggia su canali totalmente diversi da quelli a cui la nostra tradizione novecentesca ci aveva abituati: musica, film, videogiochi e le frontiere infinite di Internet hanno appena cominciato a rivoluzionare non solo le nostre vite, ma anche il mondo dell’arte contemporanea. Sembra averlo capito molto bene e già da tempo Luca Valtorta, già collaboratore di riviste tecnologiche e non, e dal 2004 direttore di “XL”, il mensile d’avanguardia di Repubblica. L’abbiamo incontrato in occasione di un convegno all’interno del festival “L.ink – l’editoria ai tempi dell’ePub”, mentre parlava agli studenti dell’Ateneo di Bari di attualità, di musica e della sua creatura, di cui va fierissimo.

Che progetto è XL?

Nasce dalla volontà di Repubblica di fare qualcosa di nuovo e diverso, che riuscisse a intercettare la forza innovatrice che era stata del periodico “Musica” ai tempi del suo lancio: proprio dalle ceneri di quest’ultimo è nato un giornale che pur mantenendo il DNA di Repubblica, rappresentasse una novità.

Destano curiosità i nomi delle sezioni del giornale: perché proprio “Rumori” e “Movimenti”?

Siamo sempre attenti ai nomi che diamo, ci piace riempirli di significati particolari. “Rumori” è un gioco, deriva tra gli altri anche da rumors, inteso come “ciò che si sente in giro”. Infatti un’alternativa per questa sezione era un titolo che poteva essere buzz, ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato difficilmente comprensibile per qualcuno, quindi abbiamo voluto mantenere un’italianità anche in questo; e poi è anche un gioco con la parte più sperimentale della musica, ovvero il mondo dell’avanguardia, il mondo della scena industrial italiana che è appunto rumore. E anche, infine, un gioco con le solite cose che dicono le madri, ovvero “basta con quel rumore”. L’altra sezione, “movimenti”, è anch’essa un gioco di parole: movimenti, move-ments, “muovi la mente” da un lato, ma anche un’attenzione specifica al sociale e alla politica dall’altro lato.

Quali cantanti o gruppi musicali fanno più rumore in Italia? Quali hanno la maggiore influenza sul pubblico?

A noi più che quelli che influenzano di più, interessano quelli hanno la qualità maggiore: le punte di diamante in Italia sono gli Afterhours, i Baustelle, Il Teatro degli Orrori, band che hanno una lunga storia dietro le proprie spalle e che in altri paesi sarebbero delle superstar, termine che non mi piace usare, ma che rende perfettamente la mia idea. Sono band che avrebbero un senso ancora più ampio di quello che hanno, che in Italia continua ad essere non proprio di nicchia, ma neanche purtroppo così di massa.

Passiamo al movimento: l’industria cinematografica ed editoriale italiana è in difficoltà. Nel suo intervento al convegno ha giustamente detto che noi italiani siamo troppo esterofili. Che tipo di problema è?

Si tratta d una situazione che deriva da un senso di insicurezza nelle proprie risorse, che comunque nasce anche da qualcosa di buono: la voglia del nuovo e le stesse cose nuove magari si vedono più facilmente se vengono da qualche paese strano ed esotico. Dopodiché però serve un processo di consapevolezza, che porta attraverso l’approfondimento anche delle proprie radici a prendere quello che di buono c’è nella propria tradizione, riuscendo a mescolarlo magari con quello che viene dall’estero per creare qualcosa di unico e di particolare.

Perché le istituzioni italiane continuano a non capire che investire sulla cultura e sul talento creerebbe un importante indotto economico per il nostro Paese?

Bella domanda. È una domanda che ci facciamo anche noi. Beh, perché comunque in questi anni l’immaginario è stato colonizzato da idee non propriamente etiche, complice la diffusione di una tv commerciale che ha propinato agli italiani degli ideali aberranti, riempiendo i canali televisivi di soubrette e trasmissioni di basso profilo culturale, di cose senza alcun senso e assolutamente prive di ogni volontà di tipo educativo. Ora, è vero che in teoria un canale privato fa quello che vuole, però c’è anche un limite alla decenza. Cioè, qui abbiamo assistito veramente alla devastazione: una persona intelligente che si accostava a certi programmi non poteva resistere più di un minuto a guardarli. Anche all’estero c’è una tv privata spesso assurda, però l’Italia ha toccato davvero dei vertici di cattivo gusto incredibili.

La sua passione per la cultura contemporanea giapponese è immediata conseguenza della sua passione per la tecnologia? Cosa la colpisce di più del popolo del Sol Levante?

Mi colpiva un’alterità totale rispetto all’occidente e al tempo stesso una capacità di assimilare unica tra i paesi asiatici; la capacità di prendere cose dall’occidente, riuscendo prima a imitarle e poi a farle meglio di noi. E poi quel loro riuscire ad accostare ad una società ipertecnologica un’attenzione costante alla classicità e a forme nobilissime quali la poesia, l’arte del thè, e tutta una serie di cose che sotto il profilo culturale costituiscono la dignità di un paese.

Le saghe di fumetti e di videogiochi stanno sostituendo i romanzi nel percorso formativo dei giovani. E’ un limite o una nuova opportunità?

Sono esperienze diverse. Continuo ad augurarmi che vadano avanti comunque insieme, perché il videogioco da solo non è sufficiente. Certo, è un’esperienza ludica che può essere anche interessante, però non è sufficiente da sola. La lettura continua a rimanere un elemento fondamentale nella formazione di una persona.

Esiste una vera e propria letteratura dei videogiochi?

Auspico che in futuro i videogiochi diventino sempre più complessi. Non è impossibile pensare che un videogioco possa diventare qualcosa di più di un  videogioco. Però, insomma, anche in questo campo negli ultimi anni si è vista un po’ restringersi la creatività e stiamo assistendo a un trionfo delle mega produzioni  che alla fine sono sempre uguali, eterne variazioni di uno stesso tema. Mi sembra ci sia un impoverimento allo stato attuale dei videogiochi.

Come li immagina da quarantenni i ventenni che stanno crescendo a pane e social forum?

Da un lato spero bene, spero che questa ipersollecitazione permetta veramente la creazione di nuove identità, la creazione di nuovi modelli di business. La cosa che mi fa un po’ paura è la cosa tipicamente italiana del piangersi addosso, dell’arrendersi, oppure di dare la colpa ad altri per i propri fallimenti. Penso veramente che l’Italia di questi giorni debba fare solo una cosa: tirarsi su le maniche e mettersi a lavorare, perché la situazione è difficilissima. Ma in fondo proprio le situazioni difficili a volte si dimostrano le più feconde per il futuro.

 

@AlessandroPat

Alessandro Patella

Alessandro Patella su Barbadillo.it

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