Il caso. Grillini bocciati in storia e buon senso, l’aula Tatarella e le lotte contro partitocrazia

tatarella+mastrangeloLe culture politiche italiane sono un elemento prezioso del nostro sistema e non meritano furie iconoclaste. La possibile cancellazione dell’intitolazione a Giuseppe Tatarella di un’aula del gruppo alla Camera da parte del M5S conferma che i grillini – avanguardie nella comunicazione 2.0 – sono da “rimandare” per la scarsa conoscenza della storia dei partiti politici italiani. Se avessero approfondito il percorso di Tatarella, infatti, avrebbero riscontrato una sorprendente serie di affinità con un politico che, prima di diventare “il ministro dell’armonia”, era stato eletto in Parlamento con lo slogan “ogni voto una picconata”, formula che indicava nella partitocrazia e nei privilegi della casta l’obiettivo della campagna del Movimento sociale italiano alla fine della Prima Repubblica. E come non ricordare le trasmissioni televisive su TeleNorba che Tatarella registrava dalla Colonna infame a Barivecchia, luogo simbolico per mettere all’indice il malcostume della politica? Anni prima si presentò alle politiche con un motto che richiamava un famoso pesticida (era l’acronimo dei candidati missini di Crollalanza, De Marzio e Tatarella): “Vota DDT contro il malaffare”. Tutto questo venticinque anni prima dello Tzunami Tour del comico genovese, con il pentapartito ancora in auge…

Ci sono tanti modi per onorare la memoria del giornalista anticamorra Giancarlo Siani, ma la cancellazione del nome Tatarella dell’aula della Camera che gli fu dedicata è quello meno nobile. I Cinquestellati, di contro, dovrebbero proprio prendere esempio dal politico cerignolano trapiantato a Bari, studiarne il cursus honorum e soprattutto evitare di usare la memoria politica con pericolosa leggerezza, come se si trattasse di cambiare una figurina Panini: via l’alleato-nazionale Pinuccio, attacchiamo sulla porta Siani.

La lezione politica di Tatarella, infatti, andava ben oltre il processo di modernizzazione della destra postfascista di cui fui protagonista: il suo lascito più prezioso resta la teorizzazione di una cultura di governo in grado di raccogliere le istanze di cambiamento, che riguardassero lo stile dei politici, l’impianto costituzionale o la legge elettorale. La sua missione era produrre atti concreti e proprio per questo, da plenipotenziario del centrodestra nazionale in Puglia, scelse di rimboccarsi le maniche per lavorare ogni giorno nell’assessorato alla cultura del Comune di Bari. Perché la politica non è solo post, streaming e Meetup ma richiede soprattutto la faticosa codificazione del bene comune attraverso la politica del fare.

* dal Corriere del Mezzogiorno del 12 aprile 2013

@waldganger2000

Michele De Feudis

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