L’intervista. Crisi in Siria. Scognamiglio (East): “Putin riscopre il modus operandi dell’URSS”

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“Non credo sia nelle intenzioni di Mosca intervenire in modo solitario, ma nemmeno cedere di fronte agli Usa su un eventuale dopo Assad”, ci ha spiegato Giuseppe Scognamiglio, editore della rivista di politica internazionale East, poche ore prima dell’attacco russo in Siria. Cambio di strategia al Cremlino? No, più plausibile un segnale, chiaro, lanciato da Putin alla Comunità Internazionale: contrasto dell’Isis e non ad Assad, che resta un alleato della Russia. Plausibile perché, aggiunge Scognamiglio, “le decisioni di Putin in materia estera non sono più chiare o, meglio, non sono più ben interpretabili dall’invasione della Crimea”.

Truppe e consiglieri militari moscoviti in Siria. Non siamo di fronte ad un nuovo Afghanistan, vero? 

“No, perché quella lezione l’hanno imparata bene sia i russi (con una cocente sconfitta militare), sia gli americani che avevano consegnato armi a fazioni mujahedeen delle quali, dopo la campagna, alcune confluirono in gruppi jihadisti. Non un nuovo Afghanistan, dunque, semmai la determinazione di Putin a riprendere a giocare un ruolo nel dopoguerra, ancora una volta riesumando gli scheletri dell’Urss”.

Si spieghi… 

“Non è facile capire un presidente, la cui linea politica non è riconducibile agli interessi della comunità che governa, apparendo invece come una deriva nazionalista, In reazione anche ad atteggiamenti superficiali e distratti dell’Occidente. E proprio questa superficialità (mi riferisco in particolare alle dichiarazioni Nato e UE sul posizionamento dell’Ucraina) ha finito con lo spingere Vladimir Putin a riscoprire una modalità di comportamento più vicina all’Unione Sovietica del XX secolo che alla Russia del terzo millennio”.

Mentre USA e Russia parlano di operazioni congiunte, qualcuno ha attaccato autonomamente…

“Sì, ma non si tratta di un’azione incisiva sullo scenario bellico ed è strampalata sotto il profilo geopolitico. Per trovarle un senso, dobbiamo evidenziare come la politica estera francese sia influenzata dalle esigenze interne del paese, a prescindere da chi la guidi, Sarkozy o Hollande”.

Ovvero? 
“L’Eliseo persegue i propri obiettivi d riconquista del consenso (senza riuscirci, peraltro), come già fatto in Libia. A lasciare ulteriormente perplessi è La prospettiva politica disegnata da Parigi: a differenza di Germania e Gran Bretagna, Hollande ha mantenuto la posizione più intransigente nei confronti di Assad. Parigi non vuole trattarci, ma manda l’aviazione a colpire l’Isis… nemico di Assad”.

Secondo lei, dunque, le incursioni aeree non avranno conseguenze?
“Se fa riferimento a spettacolari attentati di ritorsione in Francia, non credo, perché dietro ad essi non c’è una regia organica, organizzata. Pertanto no, non penso che il Califfato riesca a rispondere con attacchi sul suolo francese. Nonostante queste considerazioni, ritengo che l’azione abbia comunque il merito di scuotere le coscienze, spingendo l’Europa ad assumere una posizione chiara su una guerra che va avanti da quattro anni. E le cui conseguenze incidono anche sul nostro modo di vivere, come nel caso della gestione dei profughi. Nell’ultimo Consiglio europeo, si è stabilito di decidere le quote a maggioranza e non all’unanimità, contrariamente al dettato dei Trattati. È il primato della politica… Riemerge la prospettiva federale, in barba agli Euroscettici…”. (Da Libero)

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Marco Petrelli

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