Musei. Stranieri alla direzione? La sconfitta del sistema formativo italiano

Arazzo-Genio-Futurista-di-Giacomo-BallaCriticare la scelta dell’ineffabile ministro Dario Franceschini di affidare la direzione di alcuni dei più importanti musei italiani a personalità straniere (o che all’estero si son formate) sarebbe fin troppo semplice. Non con la retorica un po’ patriottarda del “prima gli italiani” a tutti i costi cui si richiama, sarcastica, Flavia Perina. E nemmeno per presa posizione politica, men che mai partitica. La critica alla scelta di Franceschini deve partire dall’unico dato certo che la scelta dell’esecutivo ha sottolineato: la (solenne) bocciatura del sistema formativo nazionale.

La sconfitta è nel segnale, la politica si fa anche (o forse soprattutto) così. Il segnale, manco a dirlo, è che il  turismo “italiano” non vende abbastanza – secondo gli standard di cosa si intende oggi per turismo e si sogna da un settore forse eccessivamente caricato di aspettative – e che quella classe di professori e scienziati che oggi avrebbe avuto l’occasione unica di diventare dirigente, è stata sostanzialmente bastonata. Perché, evidentemente, non sarebbe in grado di richiamare masse e turisti entusiasti alle fonti della cultura italiana

Forse la scelta del governo è dovuta alla ferrea volontà della politica di perseguire una linea giovanilista sulla falsa riga del borioso Erasmus-style che Renzi tenta ancora di indossare. Sia come sia, il dado è tratto ma il nocciolo della questione – nonostante florilegi di articolesse pro e contro Franceschini  – non sembra essere stata affrontata sul serio. Il comparto non riesce a esprimere le sue potenzialità. Il perchè è presto detto: paludamenti e politicamente corretto hanno portato, negli anni scorsi, a clamorosi cortocircuiti. Come poco più di un anno fa a New York. Quando il Guggenheim (non l’oratorio Santa Caterina di Pizzighettone, con tutto il rispetto) omaggiò il Futurismo, scatenando una reazione nel pubblico americano vorticosa, vertiginosa d’impazzimento generale e consenso praticamente indiscriminato. Fu un successo fosforescente.

La verità e che, a un anno di distanza, c’ha ragione la curatrice Vivien Greene che – a commento dell’immenso riscontro della mostra su Filippo Tommaso Marinetti – puntò il dito contro gli asti, i campanilismi, i piccolismi localistici che fanno perdere le visioni d’insieme e (soprattutto) il contatto con la realtà.

Però, tra i tantissimi interventi, quello di Philippe Daverio che, all’Huffington Post, entra nel merito della questione e delle singole questioni sembra aver centrato la lettura dei fatti.

Da un lato, contro l’esterolatria italiota e dall’altro, di nuovo, la sottolineatura a penna blu dell’incapacità del sistema universitario e formativo. Inidoneo, secondo il critico d’arte, a creare personalità evidentemente capaci di rispondere all’appello della rinascita turistico-culturale in Italia: “In Italia validi direttori non ce ne sono e i migliori sono andati in pensione. Purtroppo negli ultimi dieci anni il nostro ministero non ha formato carriere e non ha coltivato il personale. Tuttavia reputo che, per quanto fragili le risorse interne, siamo più efficaci delle illusioni esterne”. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.

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Giovanni Vasso

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