Gli americani ci faranno fare una figura barbina. Il Guggenheim di New York rende omaggio al Futurismo, l’ultima grande avanguardia artistica che l’Italia sia riuscita ad imporre al mondo. E le dimensioni della mostra – che durerà fino a settembre – rischiano di oscurare tutte le manifestazioni nostrane ferme al 2009, anno in cui si celebrò il centenario del manifesto di Marinetti.
Il successo – che appare annunciato – dell’iniziativa riapre la questione più scottante degli ultimi anni. Perché la cultura italiana diventa fenomeno globale soltanto quando lascia l’Italia? Possibile che l’Italia non sia in grado di organizzare un evento artistico – e il centenario futurista poteva esserlo – capace di far tremare con la sua eco la cultura globale?
La curatrice della mostra newyorchese, l’italo-americana Vivien Greene, di dubbi ne ha pochi. E al Venerdì di Repubblica spiega: «Non avete spirito di squadra, da voi vincono sempre i campanili». Dunque siamo una nazione provinciale, che si è auto-relegata ai confini del mondo, più interessata alle competizione paesane tra teste d’uovo, cesaretti rurali e paesini astiosi. Che, come ci insegna la mai troppo maledetta e abusata metafora dei capponi di Renzo, sa piangere – ipocritamente – solo quando il patrimonio artistico per anni negletto, comincia a crollare.
Con la cultura si mangia, dicono. Sì, ma le vere abbuffate se le fanno nel mondo anglosassone. La mostra più longeva mai esposta al British Museum (che ha incassato milioni di sterline) è quella su Pompei ed Ercolano. Mentre noi lasciamo crollare le ville patrizie, altrove sanno costruirci attorno veri e propri eventi nazional-popolari.
Eppure la lezione dei futuristi resta attualissima (e inascoltata): “Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo e dell’imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite, cloaca massima del passatismo”. Ecco, Marinetti e compagni ci hanno provato a “guarire e cicatrizzare” l’Italia “putrescente, piaga magnifica di passato”. Nel Belpaese ha trionfato la melassa accidiosa mischiata col miele della auto-commiserazione: onorare i futuristi – oltre le valide mostre organizzate nella ricorrenza, avrebbe costretto ottusi burocrati della cultura a rivalutare la forza delle correnti culturali che si svuiluppavano nel Ventennio… Le folgorazioni di FTM e degli altri avanguardisti non hanno contaminato abbastanza l’Italia. E mai come questa volta ci brucia ripetere il proverbio “nemo propheta in patria”.