Il caso. Dio perdona, Silvio no. Da Fini a Bondi, da Alfano a Verdini: il volto distruttivo del Cav

Berlusconi nel tour elettorale in Puglia nel maggio 2015
Berlusconi nel tour elettorale in Puglia nel maggio 2015

Come Shiva e Rudra, il benevolo dio del sonno e terribile dio delle lacrime. Silvio Berlusconi vuole avere due volti: quello che ti porta in parlamento quasi aggratis e quello che ti vuole sradicare dalla faccia della terra. Un po’ come il sor Principe, interpretato dal mitologico Mario Brega in “Bianco Rosso e Verdone”, la sua mano “po’ esse piuma e po’ esse fero”. Con Denis Verdini è stata ferro. E con tanti altri prima di lui in questi ultimi, tremendissimi, anni di declino destro, esasperazione grillo-leghista del conservatore e trasmigrazione renziana del consenso moderato. Come un tremendo basilisco, ha fulminato e smontato gli avversari interni.

GIANFRANCO ISCARIOTA.  Tutto è cominciato con il Pdl. Con Gianfranco Fini, l’eterno delfino che si fece ultranemico. Osò mettere in discussione il capo, ormai stufo di far da secondo e blandito – dicono – dalle promesse dei “congiurati” che Berlusconi volevano fuori da Palazzo. Pagò la furia distruttiva delle inchieste giornalistiche, un voto parlamentare tiratissimo, l’abbandono dei suoi colonnelli e della base che mai gli hanno perdonato la gestione rigidamente patronale, senza congressi che non fossero locali e localissimi, della (intanto sciolta) Alleanza Nazionale. Sarà bollato dal Cav, in eterno, come “traditore”.

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POLTRONA SENZA QUID. Intanto segretario del Pdl è diventato Angelino Alfano. Che ha raccolto, evidentemente, il  testimone di erede dal ribelle Fini. Le cose non vanno bene fin da subito. Perchè Alfano ci crede veramente che può fare il delfino e Silvio, che come tutti i padri padroni ama i figli finché restano buoni al posto loro, nota che nell’avvocato siciliano manca qualcosa, il famoso e famigerato “quid”. Ne parlano persino i giornali portoghesi. Poi arriva il governo Monti, il patto del Nazareno e Alfano – tetragono con Lupi – rimane sempre in sella al ministero degli Interni. Con i “governisti” se ne va da Forza Italia (che poi è ritornata) e fonda Ncd. Shiva Berlusconi ne sancisce la trasformazione in “poltrona umana”.

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VORREI MA NON POSSO. Nel mentre si svolgeva la storia di Alfano, è spuntata la meteora Meloni. Il Pdl vive momenti di tensione altissima. Che spera di sedare con la via delle primarie. Non è con una consultazione interna – più o meno – che si pensiona Shiva Berlusconi. Alfano, dicevamo, già è in corsa. Gli si oppone Meloni, portabandiera della Generazione Atreju, che si allea con Guido Crosetto, gigante liberale del Piemonte. Per un attimo sembra la rottamatrice del centrodestra mentre Matteo Renzi, dall’altra parte, comincia a inguaiare Bersani e soci. Silvio, di lei, non si è mai fidato (ricordate la storiella “zoccola” al congresso Pdl?). Se ne va a fare Fratelli d’Italia, imbarca La Russa e fa l’alleata in coalizione: Berlu la colloca, di fatto, tra color che vorrebbero ma non possono.

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BUIO FITTO. La grande casa dei moderati è ormai crollata su se stessa. Renzi sfida i luoghi comuni e pressa sui temi prediletti dal centrodestra. I sondaggi sono impietosi, Berlusconi è zittito ope legis e ciò gli vale (anche) come alibi. Forza Italia deve cambiare, anche nei volti. Raffaele Fitto ci crede e prova il cappotto. Silvio, trovandosi in casa un altro erede affamato, si rizela. I giornali traducono su carta e web conversazioni scioccanti parlanti di parroci leccesi, vecchi democristiani e coloriti inviti a recarsi a quel paese. Fitto ha trecentomila voti, dice Berlusconi. Se ne vada e si faccia il suo partito. Lui non vuole ma Silvio, arrabbiato, non perdona.

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LICENZA POETICA. Certi amori non finiscono. Si rassegnano e, magari, si mettono in dubbio. Era stata tra le espressioni poetiche (e beffate) della nouvelle vague berlusconiana. Quando se n’è andato – ha lamentato – manco un bigliettino d’addio. Sandro Bondi e signora, insieme a Bonaiuti, sedotti da Renzi e dal Nazareno, non hanno condiviso la via del Falco che Forza Italia, dopo il patto, aveva inaugurato per recuperare credito e consenso. Lettere, lunghe, d’amor perduto a cui il basilisco d’Arcore non ha mai risposto. Il silenzio, spesso, è la più crudele delle punizioni. Specialmente se rivolta, rivoltella feroce, contro un poeta che di parole ha incensato se stesso e il suo caro leader.

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L’ULTIMO DEI NAZARENI. Oggi è stato il turno di Denis Verdini. Il “laico”, dicono. Devotissimo alfiere del Nazareno, ha cercato sempre di ricucire gli strappi. Berlusconi non accetta che qualcuno tratti a nome suo, si impegni nel nome del Padre o addirittura indichi a lui la retta via da seguire. Dopo vent’anni è chiaro, ormai, che Berlusconi non è incline alla gestione del dissenso. Manco se ti chiami Verdini e sei stato (dicono) potentissimo. L’investimento, per Denis, s’è rivelato estremamente volatile. Tutto su Renzi e ora che è meglio blandire l’altro Matteo, deve lasciare il banco.

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