Sicilia/2. La fine della “società civile”: Crocetta ha scritto “Saro” sulla sabbia

Saro Crocetta ai tempi d'oro della sua elezione
Saro Crocetta ai tempi d’oro della sua elezione

Rosario Crocetta s’è autosospeso dal ruolo di governatore della Sicilia. Non poteva finir diversamente il pasticcio brutto del medico Tutino cacciato fuori dagli incartamenti da L’Espresso. Non merita commento l’indelicato spernacchiare il destino d’un uomo vero, Paolo Borsellino, che ha messo le istituzioni davanti alla sua stessa famiglia. È questione così grave che rispecchia la leggerezza trombona degli sciagurati tempi in cui gli dei c’hanno imposto di vivere.

Chi è Crocetta

Crocetta è personaggio vero. Ha una fisionomia bonaria e quasi folkloristica che lo assomiglia a un pupo. Ciuffo smezzato al centro da una riga che fa tanto anni ’60, occhiali invisibili, gessatino e giubbetto antiproiettile sotto la giacchetta. Tetragono e incline all’urlo, ha resistito per anni a una serie di attacchi che avrebbero atterrato un mammut. Eletto governatore perchè si era presentato come un rivoluzionario in accordo sancito e benedetto (almeno per un po’) con il “nuovo” proveniente dalla galassia stellare del web. Poi qualcosa è andata storta. Tutte le colpe a lui solo non vanno addossate. Saro è vittima di se stesso perché è stato stroncato dall’evidente, inconfessabile fallimento di un pilastro (solamente) retorico della defunta Seconda Repubblica: la desolante inadeguatezza della supponente (e sedicente) società civile.

Associazioni, reti, incontri e campagne elettorali. È cominciato tutto con l’imprenditore prestato alla politica che avrebbe dovuto far falò dei grigiocrati diccì, dei “forchettoni” psi e degli scomunicati comunisti. Poi che s’è estesa la moda, la società civile è divenuta presidio autocratico di democrazia e legalità mentre i partiti, con la lungimiranza di una talpa astigmatica, seminavano scrupolosamente i semi dello schifo verso la politica. Non (o almeno non solo) con gli scandali che non mancano mai ma bruciando i libri, avvalorando la convinzione che s’è alla fine della storia perchè, in fondo, viviamo nel migliore dei mondi possibili e non c’è bisogno di studiare.

Ovvio che in tale stato  di cose, non possa esserci proposta veramente politica, nemmeno (anzi soprattutto) nella sola contestazione. Questo è ciò che accade quando il dibattito politico si fa bega da talkshow e quando la cultura che non è vera, sofferta, vissuta, scomoda e quindi solo riverito vassallaggio al pensiero unico dominante diventa garbata poesiola, scolastico citazionismo da secchioni aspiranti bulli, per far bella figura con la tizia rimediata a cena. Se (e quando) la politica si accorge che non può fare davvero niente perché s’è affidata la sovranità a chissà chi, è la perenne conta interna e l’immobilismo istituzionale. Che spacca il mondo tra improvvisati dotti politologi che predicano altezzosi moderazione e pazienza e sguaiati Masanielli che annunciano grintosi e incazzosi di voler rivoltare il pianeta come un calzino.

Due facce, quindi, della stessa medaglia. Quella di una sostanziale ingovernabilità precaria e arroccata a difendere legittimazioni che il mare si porta via. Crocetta è figlio (politico) di questi tempi. Perciò non ha fatto altro che scegliersi il destino di chi ha scritto “Saro” sulla sabbia. E non può esorcizzare la risacca.

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Lev Jascin

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