L’intervista. Isis segreto, l’inchiesta choc di Indini e Carnieletto: “Jihadisti in dodici ore”

isisIsis è nome che evoca immediatamente paura e indignazione. Soprattutto in Europa, specialmente in Italia, naturale “porta” del Mediterraneo, ponte tra il vecchio continente e l’area infuocata del Vicino Oriente. Cosa vogliono gli uomini del califfo ormai appare chiaro. Come si muovano e cosa rappresentino realmente, invece, ancora non del tutto. L’incubo è che i jihadisti, come nel celeberrimo film degli anni ’50, siano tra noi. Manco fossero gli Ultracorpi. Per capirne di più sugli uomini di Al Baghdadi, Andrea Indini e Matteo Carnieletto – firme di punta de Il Giornale – hanno portato avanti un’inchiesta sconvolgente, condensata nel libro “Isis Segreto”, con la prefazione del direttore Alessandro Sallusti. 

Quanto è facile diventare jihadisti al tempo dei social network?

Matteo: Avevamo notato quanto fossero abili, gli jihadisti dello stato islamico, a utilizzare sia Facebook che Viber per arruolare nuovi miliziani. Ci siamo chiesti se fosse davvero così e, perciò, abbiamo voluto verificare noi stessi se e quanto fosse facile attirare i ragazzi, soprattutto stranieri. Non ci dobbiamo scordare, infatti, che i foreign fighter al servizio del califfo sono circa 30mila. All’inizio sembrava difficile, le prime ore le abbiamo passate tutte a spulciare profili, scovare personaggi, cercare tracce.  Abbiamo cominciato il nostro percorso partendo dalle amicizie web di Greta Ramelli, la cooperante rapita e liberata qualche mese fa insieme all’amica Vanessa Marzullo. Abbiamo aggiunto al nostro profilo i suoi amici e, dopo cinque ore, eccoci con una pista interessante tra le mani. Era un ragazzo siriano che combatteva lì, che chiaramente era jihadista e io, che mi ero spacciato per un neo-convertito italiano all’Islam, gli ho detto che ero interessato e pronto a partire. Lui si è mostrato molto disponibile a spiegarmi la tratta per raggiungere gli altri jihadisti. Tratta che è tragicamente facile: viaggi in aereo fino a Istanbul e poi raggiungi i centri minori di Hatay e Gaziantep. Da lì, vicino al confine con la Siria, ci avrebbero presi e portati direttamente al fronte.

Praticamente una bazzecola. O quasi. Ma cosa promettono ai combattenti?

Matteo: Quanto abbiamo scoperto ci ha confermato l’estrema facilità di accesso alla Jihad. E questa è una grandissima differenza dell’Isis rispetto ad altre organizzazioni, su tutte Al Qaeda. Se Bin Laden era estremamente selettivo nel reclutamento, il califfo accoglie praticamente chiunque. Se poi la recluta si rivela una spia non ci pensano più di tanto a farti fuori in pochi minuti, filmandone l’esecuzione.

A me, poi, han promesso solo la guerra. Nessun compenso finanziario. Però si sa che i miliziani vengono pagati, anche abbastanza bene. L’Isis sembra puntare alla creazione di un vero e proprio sistema assistenzialista, come dimostra addirittura il fatto che se un combattente si sposa, gli viene concessa una sorta di congedo nuziale.

Davvero l’Isis è così pericoloso?

Andrea: Sono annni che l’Occidente si interroga sul livello di pericolosità dell’Isis e più in generale del radicalismo islamico. Una soluzione “comune” e condivisa non sembra ancora esserci. Anzi ci si divide tra chi derubrica problema a fenomeno passeggero (come per esempio il generale Fabio Mini, che abbiamo intervistato, e che non considera l’Isis come un vero problema per l‘Occidente) e chi all’opposto considera la minaccia jihadista un pericolo per il mondo occidentale. Ciò che indubbiamente ha dimostrato l’avanzata “nera” è il fatto che dove c’è stato vuoto di potere governativo, lì l’Isis s’è inserito facilmente conquistando il sostegno della base popolare. E da lì è partito alla conquista di paesi come Iraq e la Siria. Si tratta delle stesse condizioni che stanno maturando adesso in Nord Africa dopo l’esperienza delle cosiddette primaverea arabe. Non ci vuole molto, poi, per capire come il fanatismo dell’Isis sia un effettivo pericolo, basta vedere cosa accade ai cristiani in Siria. Per comprendere se ci sia una vera criticità per noi occidentali, occorre leggere e analizzare la scia di sangue che è stata lasciata negli ultimi venti-trent’anni di terrore.

C’è continuità, dunque, nel fronte jihadista?

Andrea: Prima l’incubo si chiamava Al Qaeda oggi Isis, però la radice, più o meno, rimane la stessa. Tanto che molti combattenti sono passati agevolmente da una sigla del terrore all’altra. Basta considerare quanto è accaduto negli ultimi vent’anni in Europa, non troppo lontano da noi. Nei Balcani erano arrivati a combattere i mujaheddin afghani e lì sono rimasti tra Kosovo e Bosnia. Dove formano combattenti da mandare, oggi, al fronte dalla parte dello Stato Islamico oppure in giro per l’Europa ad arruolare nuovi combattente.

Negli ultimi tempi il dibattito s’è infuocato e radicalizzato. Il “male” è l’Islam in sè oppure il califfo ne rappresenta la degenerazione?

Matteo: senza dubbio dei passi del Corano incitano alla guerra santa. Lo dice senza nascondersi, tra gli altri, Bilal Bosnic che, intervistato da Repubblica afferma chiaramente che essere musulmano obbliga l’uomo a combattere il jihad, imbracciando le armi oppure sostenendo, economicamente e moralmente, chi è in guerra. Bosnic, vale la pena ricordarlo, è ritenuto uno degli esponenti più importanti dello jihadismo in Europa e, addirittura, responsabile di reclutamento e indottrinamento degli aspiranti “soldati” provenienti anche dall’Italia. Dall’altra parte, però, ci sono tantissime altre personalità che la pensano all’opposto. C’è l’imam di Roma, Pallavicini (che abbiamo intervistato nel libro), che si dimostra sinceramente preoccupato dal fenomeno del terrorismo.

Ha ragione un intellettuale di “casa nostra”, Pietrangelo Buttafuoco quando scrive che quella che si gioca in questi anni è una partita tutta interna all’Islam. Buttafuoco, difatti, spiega come  il pericolo incomba anche sui musulmani. In Siria e in Iraq vengono uccisi innanzitutto i cristiani, ma anche i musulmani sciiti, consderati infedeli dagli uomini del califfo.

L’area in cui si muove l’Isis è strategica e l’emergenza è diventata planetaria. Qual è lo scenario attuale e quelli plausibili?

Andrea: Di sicuro, nell’immediato futuro, si dovrà intervenire su quei problemi che dovevano essere risolti già da mesi. In Libia, l’Italia doveva intervenire, anche perchè questo è il Paese dove attualmente l’Isis attecchisce maggiormente. Necessario, sul fronte dell’immigrazione clandestina, che l’Occidente decida cosa fare con Tripoli. Oggi la Libia è divisa tra due governi, uno ufficiale e l’altro islamista. Tutto questo mentre la Libia brulica di una molteplicità di miliziani, tribù in armi e combattenti jihadisti.  Sicuramente l’Europa, dopo aver fatto danni clamorosi con la guerra a Gheddafi che ha fatto da prologo all’attuale caos in Libia, deve trovare il modo per riportare tutto sotto controllo. Solo così si potranno pattugliare le coste libiche e contrastare i barconi che attraccano sulle coste italiane.

Un altro fronte è di sicuro quello della lotta all’Isis. E qui si chiamano in causa maggiormente gli Stati Uniti d’America che per mesi hanno ingaggiato una campagna violentissima contro Bashar al Assad, prima armando i ribelli e, adesso, ritrovandoseli armati contro. Situazione incresciosa dato che oggi l’alleanza atlatinca è costretta a scendere a patti proprio con Assad. Non è innocente l’Ue che ha assecondato fin troppo a lungo gli Usa nella campagna d’odio contro il governo siriano e che ora deve rivedere tutto.

Tutte questioni che chiamano in causa, poi, la Russia di Vladimir Putin, rivelatasi l’unico vero baluardo contro il fondamentalismo islamico. Si pensi solo a quanto è stato fatto in Cecenia. . Solo Putin, del resto, quando l’America attaccò Assad, si schierò con la Siria, insieme alla Cina. E nonostante ciò, Putin resta sempre osteggiato dagli Usa. In questo complicato e delicato scacchiere l’Europa diventa sempre più centrale non tanto perchè valga qualcosa sotto il punto di vista politico o diplomatico ma perchè i problemi vengono a bussare direttamente alla nostra porta. Il conflitto ucraino, per esempio, è la dimostrazione plastica di questo braccio di ferro (sbagliato) tra Usa e Russia. Il vero problema di oggi sta nei conflitti e nelle loro ripercussioni: le potenze si confrontano e misurano su un Paese come l’Ucraina e intanto chi ne fa le spese è tutta l’Europa. Tutti questi scenari di tensione, sebbene divisi e diversi tra loro, hanno una matrice unica. Per questo, occorre seguire attentamente quanto avverrà sullo scenario internazionale da qui a breve: dalle alleanze ai futuri rapporti, quale sarà la strada da percorrere in vista delle risoluzioni delle crisi tra Vicino Oriente ed Europa dell’Est.

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Giovanni Vasso

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