“Giovane e bella” è un film di Ozon che narra un anno della vita di una bellissima diciassettenne, Isabel, da quando in vacanza al mare perde la verginità a quando decide di essere una escort al servizio di facoltosi uomini maturi. Un percorso personale ed esistenziale che è anche metafora del mondo liquido.
(S)oggetto del desiderio
Isa è una squillo moderna che prende appuntamenti con ricchi signori su internet sotto lo pseudonimo di Lea, inscenando una recita per soddisfare la fantasia del maschio adulto che la vede giovane ninfa. Ma per la ragazza, più che una finzione, fingersi Lea è il modo di diventare adulta e appropriarsi del desiderio.
Un passaggio esistenziale giocato tra le ombre del metrò e quelle delle stanze d’albergo, un rito di sdoppiamento notturno apertosi sulla spiaggia dove Isa perde la verginità in una delle prime scene, quando la ragazza facendo l’amore (di notte) vede comparire una “seconda lei” accanto a sé che la guarda compiere ciò che sembra una spiacevole necessità, un rito di passaggio.
Trasformatasi così in Lea, Isa usa gli uomini; chiede loro denaro, ma non lo usa per vestiti o gioielli, anche perché la famiglia moderna della Parigi progressista nella quale vive non le fa mancare nulla: come mai allora si prostituisce? Isa vuole scoprire quanto vale. Sa di essere giovane e bella, ma vuole comprenderne la potenza: non è una vittima della lussuria maschile, non è una donna-oggetto, ma è un soggetto, una carnefice di quei maschi usati, comparse grottesche e indifese per tutto il film, sottomessi.
Molte identità, nessuna identità
Il rituale di Isa/Lea diviene un gioco pericoloso, un’avventura tra profondità e superficie, ingenua memoria del (nuovo) sottosuolo della pornografia e del possesso materialista; esplorazione del sottobosco di internet e dei siti di appuntamenti e delle doppie identità – “Nelle foto eri diversa; anche io ero diverso, ma che importa?”, le dice eloquentemente il primo cliente.
La ricerca dell’identità e la ricerca del piacere si sovrappongono e si muovono attraverso falsi nomi che schermano la realtà, in un gioco di doppi che prosegue per tutto il film: Isa/Lea, liceale/ prostituta, il notturno dalla metro e il diurno della sua vita “ufficiale”; ma anche il continuo specchiarsi, riflettersi, osservarsi nei vetri delle camere d’albergo, guardandosi, senza però vedersi mai, come nel mondo della rete, dei “selfie”, della narrazione autoprodotta di sé.
L’adolescenza dell’età liquida
Questo percorso di Isa è solitario e malinconico, in rottura con i gruppi sociali che la circondano (famiglia, scuola, coetanei), coerente con la gioventù dis-identitaria alla (vana) ricerca di un’identità nella società adolescente della modernità liquida: una liquidità incarnata dalla protagonista giovane e bella, potente e affascinante, ma inafferrabile. L’occhio dell’adolescente, come quello della società liquida, non giudica; e cercando continuamente un approdo finisce invece per destabilizzare quei patriarchi violenti, decadenti e deboli ai quali si affida per conoscere il proprio prezzo e che infine sfida e vince.
Non a caso il film termina con la conversazione tra Isa e una donna anziana e saggia, sacerdotessa-capa, innamoratasi in gioventù del patriarca-amante dal quale poi è sempre stata tradita: un’anziana sacerdotessa che invidia la giovane e bella, scambiandone l’immediatezza per coraggio, la solitudine per libertà. Come la nostra civiltà, troppo anziana per comprendere, troppo stanca per combattere questa nuova, energica, giovane carnefice che, affascinandoci, ci sta in realtà rubando tutto.