La polemica. L’ambientalismo ragionevole? Dimentica l’uomo e il sacro

imagesCaro direttore,

da ormai vecchio militante di Fare Verde (associazione ambientalista che si inserisce in quella corrente di pensiero cha va sotto il nome di ecologia profonda), desidero fare qualche breve ed estemporanea considerazione sull’articolo “L’ambientalismo ragionevole e l’equazione spiritualità/sviluppo” a firma di Mario Bozzi Sentieri pubblicato su Barbadillo del 18 maggio 2015.

Innanzitutto: ma che cos’è questo ambientalismo ragionevole che si oppone a quell’ambientalismo radicale, che con una petizione di principio viene definito dall’articolista irragionevole, antiscientifico, antitecnologico? Ebbene, l’arcano è subito svelato: è un ambientalismo che è “giocato sugli interessi reali della gente” ed è “fondato sulla ricerca scientifica”. Domanda: la difesa dell’ambiente da tutti i degradi, il recupero del senso del sacro, una visione biocentrica in cui l’uomo non sia solo portatore di diritti ma anche di doveri (soprattutto verso la natura vivente e le nuove generazioni), il consumo responsabile rispondono agli interessi reali della gente? Se la risposta è affermativa allora l’ambientalismo ragionevole non ha ragione di essere, perché dice le stesse cose dell’ambientalismo radicale. Altra domanda: ci vuole più intelligenza, più tecnologia, più conoscenza nel ristrutturare energeticamente gli appartamenti consumando meno e stando meglio (ad esempio sostituendo le lampadine a incandescenza con quelle a LED) o nel proseguire con le vecchie abitudini nocive all’ambiente e agli esseri umani? Anche in questo caso se la risposta è positiva è del tutto inutile parlare di ambientalismo ragionevole. L’ambientalismo radicale è infatti ragionevole e nient’affatto antitecnologico. Ma sono sufficienti nuove tecnologie, alcune leggi, alcune oasi protette per risolvere davvero l’emergenza ambientale, oppure bisogna procedere ad una revisione profonda del nostro modello di sviluppo riconoscendo i valori superiori della vita secondo gli insegnamenti di popoli e civiltà del passato? Se si opta per la seconda parte del dilemma allora siamo nel campo dell’ecologismo radicale. Peraltro, l’ambientalismo è una filosofia di vita, non può puramente e semplicemente essere fondato sulla “ricerca scientifica”, pena il diventare la valletta della ricerca, della sperimentazione, della tecnologia! Dunque di interessi che guardano al profitto, al mercato e non alla natura vivente.

Sennonché ci sorge il sospetto che questo ambientalismo “ragionevole” voglia altro, rappresenti un cedimento alle miopi esigenze dell’economia slegata dalla vita. E qui casca l’asino! Infatti l’articolista prosegue esprimendo il suo parere favorevole sull’energia nucleare e sugli OGM. Che il nucleare “elimini alla radice il problema dell’inquinamento” è assolutamente falso, come sanno bene coloro che abitano vicino a Fukuiama o a Chernoyl, ma anche noi italiani che continuiamo a pagare fior di euro nella bolletta energetica per la bonifica dei siti delle fortunatamente dismesse centrali nucleari. Che gli OGM non siano nocivi è quanto meno dubbio e che aiutino lo sviluppo delle popolazioni affamate è un’altra grossolana falsità, perché le mettono nelle mani pelose delle multinazionali. In verità, se è vero che non c’è uomo senza tecnica, che migliori o modifichi l’ambiente in vista del soddisfacimento delle sue necessità, è anche vero che la tecnica non è in grado di determinare che cosa è bene fare o non fare. La tecnica dipende, in ultima analisi, dal progetto di vita che si ha. Il tecnico, come diceva Ortega y Gasset, presuppone il poeta, il filosofo, il fondatore di religione, il politico. Ci sono tecniche distruttive e tecniche utilizzatrici dell’elemento naturale, energia pulita ed energia sporca, tecniche che rispettano l’ordine naturale e tecniche che lo alterano. In definitiva constato che non c’è niente di nuovo sotto il sole: l’ambientalismo ragionevole fa il paio con lo sviluppo sostenibile, che già Alex Langer, Rutilio Sermonti e da ultimo Paolo Colli denunciavano come un ossimoro, una contraddizione mascherata. Sviluppo infatti significa aumento di consumi, di produzioni con conseguente degrado del territorio e come scriveva Rutilio Sermonti: “non sono le esigenze ecologiche che debbono cedere al progresso, ma è casomai il progresso che deve trovare un confine assoluto e invalicabile nelle esigenze ambientali”. Se c’è da scegliere tra lo sviluppo e la sostenibilità quale preferiamo? Nessun dubbio da parte degli ecologisti radicali. Ma gli ambientalisti ragionevoli in nome dei presunti “interessi reali della gente” sceglierebbero lo sviluppo a discapito della bellezza e integrità del mondo o farebbero come l’asino di Buridano?

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Sandro Marano

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