Cinema. “I cinque dell’Adamello” proiettato oggi a Milano: il fronte nel 1915

Una nuova serata per la rassegna cinematografica di Maurizio Cabona a Milano

Per il centenario del 24 maggio 1915 due province italiane hanno esposto la bandiera nazionale a mezz’asta, in segno di lutto: sono Trento e Bolzano, acquisite dal Regno d’Italia proprio in quella guerra. In effetti in guerra si uccide e si muore. Ma, senza quella guerra, Trento e Bolzano non sarebbero italiane, con un certo sollievo patriottico (ma anche con un certo minor reddito) per l’etnia germanica tirolese, che in virtù dello statuto speciale dell’Alto Adige può permettersi di vivere meglio dei Welsch (italiani di ceppo). E anche – ma oggi chi ci fa caso? – con un certo senso di oppressione per l’etnia italiana trentina, che nel 1915 era rappresentata al parlamento di Vienna da Alcide De Gasperi.

Sì, in guerra muore tanta gente, ma di questa constatazione la politica s’infischia, quando vuole. Se ne ricorda solo quando conviene farlo. In sostanza il centenario della guerra italo-austriaca, estesasi nel 1916 alla Germania, coinvolge essenzialmente il rango di quest’ultima. E dal 1989 la Germania è la sola vera vincitrice europea della Guerra fredda, che è stata poi la terza guerra mondiale. Di questa vittoria hanno fatto le spese anche gli alleati nel Patto atlantico, tant’è vero che la ritrovata egemonia germanica ha indotto prima la britannica Margaret Thatcher a dimettersi, poi François Mitterrand ad accettare un  ulteriore declassamento del rango francese nel mondo.

 

Passato e presente sono dunque ben stretti. A un secolo dal 1915, si combatte di nuovo in una parte di Ucraina, allora era parte dell’Impero russo. Ed è in subbuglio la Macedonia, una delle ex repubbliche jugoslave, dove la popolazione di origine albanese vuole aggregarsi a Tirana e a Pristina (Kosovo). Come allora, ci sono burattini e burattinai; come allora, l’Italia non è di questi ultimi. Lo si è visto bene nel 1999, quando venne costretta ad accodarsi agli aggressori della Serbia, perché chi si sottrae alle ambizioni egemoniche del Patto atlantico ne diventa ipso facto nemico.

Se non può più permettersi di esser sovrana la Francia, tanto meno può farlo l’Italia. Fino al 1989 Patto atlantico significava essenzialmente Stati Uniti e Gran Bretagna. Oggi significa Stati Uniti e Germania. Quindi come celebrare la guerra del 1915 (del 1914 per gli altri belligeranti) che diede all’imperialismo della Germania la prima limata di unghie? Ed ecco la trovata del governo italiano: il 1915 non si celebra, si commemora. Lifting lessicale per la presa d’atto che gli esiti del 1918 (e quelli del 1945) sono ormai in gran parte rimossi. E in peso internazionale oggi ci abbiamo rimesso più di quello che avevamo guadagnato specie tra 1950 e 1970.

Se questo era ed è il contesto internazionale, il “testo” nazionale italiano nel 1915 era più semplice, o semplicistico: ridurre le dimensioni – non estinguere – l’Impero austro-ungarico, salvo trovarsi a contendere l’Adriatico alla versione in miniatura, ma inasprita, di quell’Impero: la Jugoslavia. E sarà questa la situazione che uscirà dalla seconda guerra mondiale, con l’Italia che perde – col trattato di pace del 1947 – Zara, Fiume e l’Istria, oltre a rischiare di perdere in una lunga crisi (1914-54) Trieste.

Nella rassegna cinematografica ideata e condotta da Maurizio Cabona, già critico de Il Giornale, per le forze armate in occasione proprio delle “commemorazioni” del 1915, la continuità delle vicende storiche 1914-1954 riappare costantemente. Il film di lunedì 25 (palazzo Cusani, via del Carmine, ore 18,30) è infatti I cinque dell’Adamello di Pino Mercanti, uscito proprio nel 1954. E questo film è quello della serie – sponsorizzata dalla Elior e cha avviene con film provenienti dalla Cineteca del Friuli – che mostra più in dettaglio come il Regno d’Italia fosse nel 1915 diviso tra minoranza interventista, sostenuta dal governo, e maggioranza attendista, incarnata dal Partito socialista. Divisioni che la seconda guerra mondiale non sanerà, anzi. Il film di Mercanti, che uscì nei giorni critici per Trieste, accomuna queste divisioni nell’afflato patriottico di cinque caduti di contrastanti origini. Ma non prova nemmeno a nascondere che esse fossero profonde.

I cinque dell’Adamello si apre nell’estate 1952 con un fatto reale: il disgelo fa riapparire sulla montagna in provincia di Brescia – i cadaveri di cinque alpini sepolti da una valanga sulla linea del fronte alla fine del 1915. Scritto dal regista con Giuseppe Zucca, Guido Leoni, Giorgio Prosperi, Luigi Emmanuele, Franco Rossi e girato a Edolo e dintorni nel 1954, il film ha come personaggi principali un operaio socialista, un maestro dannunziano, un valligiano contrabbandiere, un inventore di buona famiglia, un cameriere sognatore. Insomma, neutralisti, interventisti e attendisti, quelli che non volevano nemmeno sapere che cosa accadeva intorno a loro. Qui troviamo però anche una figura unica, nel cinema degli anni ’50: quella del giornalista del quotidiano socialista, una sorta di Giorgio Bocca (che allora aveva già un certo nome). Egli si unisce al gruppo di reduci alpini di Edolo che sono decisi a recuperare le salme dei camerati di 40 anni prima. Costui pensa che quella guerra (ogni guerra) sia inutile e che i caduti non siano eroi, ma disgraziati. Che cosa c’è di diverso tra l’Italia del 1954 e quella odierna, allora? Lo saprete, con una certa sorpresa, alla fine del film… (dal blog dell’autrice)

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Luciana Baldrighi

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