Esteri. “Capire la Russia” di Borgognone e l’influenza di Dugin oltre destra e sinistra

San Basilio, Mosca
San Basilio, Mosca

Nel suo corposo volume “Capire la Russia” (Zambon, 2015) Paolo Borgognone dedica ampio spazio alla figura di Alexander Dugin, punto di riferimento di una variegata galassia di ambienti politici e culturali che oscillano tra le coordinate del tradizionalismo e l’auspicio di una rinascita della potenza russa nel terzo millennio.

Ma Il suo influsso non si esercita solo a destra: anche il Partito Comunista della Federazione Russa di Ziuganov risente della rielaborazione di idee di Dugin. La verità è che il mondo russo è completamente refrattario alle vecchie categorie anglo-francesi di destra e sinistra, per questo oggi esso diventa un interessante laboratorio di contaminazioni e di nuove sintesi.

Il pensiero di Dugin si muove tra tradizione e innovazione. Gli intellettuali che sono sulla sua lunghezza d’onda perseguono in Russia una modernizzazione che non per questo conduca alla accettazione dei valori consumistici occidentali. Il treno della Transiberiana può correre veloce tra Mosca e Vladivostok senza che per questo i suoi viaggiatori siano ammorbati dalle amenità isteriche e prezzolate delle varie Femen e Pussy Riot. L’astronave russa può volare nello spazio, portando in alto le Sacre Icone della Ortodossia in luogo del vuoto eutanasico della cultura occidentale.

Per spiegare la singolarità di Dugin, Borgognone utilizza due espressioni ad effetto: Dugin “rilegge da sinistra Evola” e “da destra Marx”. Al socialismo aggiunge lo spessore dei valori nazionali, religiosi, tradizionali; e alla lettura dell’opera di Evola aggiunge un valore che il barone metternichiano mai avrebbe condiviso: l’idea che i ceti popolari debbano tutelati e promossi da uno Stato sociale che consenta a tutti di esprimere le proprie capacità e di soddisfare i propri bisogni.

Nella visione di Dugin il rosso della bandiera socialista si affianca al bianco della tradizione russa. Netta è invece la condanna della “fallimentare politica cattolico-borghese di Hitler”. Per questo l’etichetta sommaria di ideologia “rosso-bruna” tanto in voga nei media occidentali nei loro articoli psico-inquisitori non ha alcun valore.

Il cancelliere tedesco fu un fanatico occidentalista che perseguì fino in fondo una disperata politica di aggregazione della Germania all’imperialismo britannico (il famoso condominio anglo-tedesco) e annullò il Patto Molotov-Ribbentrop con una guerra a Oriente rovinosa. Viceversa Dugin ricorda come in ambito tedesco fu Junger a cogliere le potenzialità positive di sviluppo del sistema russo parlando di una “Russia agricola e pagana, serbatoio di potenze arcaiche”.

Per Dugin la Russia è l’erede della grande tradizione imperiale europea che va da Roma a Bisanzio al Medio Evo ghibellino e include anche gli influssi della concezione mongola del Gran Khan. Il 1989, che segna il tramonto del marxismo ideologico, può essere il nuovo inizio di una coscienza imperiale del grande spazio euro-asiatico. Imperium e non imperialismo, dal momento che questo vasto spazio vivente ha tutte le risorse interne per poter vivere pacificamente senza mettere in moto quella interminabile catena di aggressioni che da venticinque anni a questa parte si accompagna alla perpetuazione dell’“american dream” (o “american nightmare”?).

Viviamo nell’epoca dei grandi spazi dice Dugin riprendendo la lezione di Carl Schmitt; per questo i nazionalismi di estrema destra, con i loro sciovinismi, le proprie impulsività facilmente strumentalizzabili acquistano un ruolo ambiguo. Distruttivo. Le vicende ucraine (ma anche parecchie vicende della destra atlantista italiana) sembrano dare conferma a questa impressione.

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Alfonso Piscitelli

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