Prendiamola alla lontana, ma non più di tanto. Ricordate la narrazione biblica sulla punizione divina dei costruttori della Torre di Babele? Fu la superbia degli uomini – secondo la Tradizione – a condannarli, per volontà divina, alla confusione dei linguaggi e allo scompiglio.
La politica italiana non sembra essere immune da questa maledizione. A destra e a sinistra. Al Nord e al Sud. Le vicende della Lega, spaccatasi, nella sua roccaforte veneta, tra i fans di Tosi e quelli di Salvini; lo stato confusionale in cui versa il Pd ligure, uscito massacrato dalle “primarie” ed ora costretto a fare i conti con il dissenso interno dei “civattiani”, contrari alla candidata renziana Raffaella Paita; lo scontro tra “fittiani” e “berlusconiani”, nella Puglia del dopo Vendola, la dicono lunga sulla babelica confusione dei linguaggi nella politica italiana.
Addio appartenenze, identità, idealità. A dettare la linea sono le rispettive ambizioni. A fare da traino più che i programmi gli interni rapporti di forza. Tutto sembra essersi ridotto ad un’indistinta mucillagine, nella quale a restare invischiati sono soprattutto i cittadini-elettori, a dir poco frastornati in questa girandola di distinguo, di spaccature, di fughe, senza che poi, al fondo, appaiano ben chiare le ragioni e le rispettive distinzioni politiche tra quanti, fino ieri, si ritrovavano sotto il medesimo tetto di partito ed oggi sembrano invece impegnati a favorire l’avversario “esterno”.
La logica, a trovarne una, pare quella del derby strapaesano, dove la politica conta veramente poco e ad emergere sono le rispettive appartenenze “di contrada” ed il peggiore familismo, in grado di soffocare le ragioni del gruppo.
Senza, per questo, apparire nostalgici del vecchio monolitismo ideologico, un minimo di “linea”, se c’è, all’interno, dei rispettivi partiti, una condivisione di valori e di programmi, andrebbe tenuta. Non è solo una questione formale. Essa riguarda (dovrebbe riguardare) i processi di selezione interni, il rispetto di chiare regole di comportamento, il rapporto tra eletti e struttura-partito.
Al fondo dovrebbe esserci – e qui torniamo al discorso su Babele – un’omogeneità di linguaggio, espressione, a monte, di una chiara distinzione di valori, laddove invece, oggi, tutto appare indistinto, confuso e lontano dagli interessi reali della gente.
Tra tante discussioni sterili da qui bisognerebbe ripartire per cercare di ricucire non tanto gli sfilacciati brandelli dei partiti politici quanto il senso vero e profondo della Politica, recuperandone la dimensione culturale e spirituale, insieme al senso del nostro sistema democratico, su ciò che significa realmente partecipazione, su come ritrovare un destino comune e condiviso.
Anche per evitare – come ormai accade di elezione in elezione – di “stupirsi” ipocritamente, ma il giorno dopo, per l’astensionismo e per la lontananza dei cittadini dalle istituzioni rappresentative. Visti certi spettacoli indecorosi le ragioni per allargare questa lontananza ci sono tutte.