Il caso. Massimo Corsaro: “Perché abbandono Fratelli d’Italia”

massimo-corsaroFratelli d’Italia perde un deputato: Massimo Corsaro, parlamentare lombardo lascia il gruppo di Giorgia Meloni per dissensi politici, già palesati negli ultimi mesi.

L’addio è stato siglato con una lettera indirizzata alla presidente del partito Giorgia Meloni, ed al capogruppo Fabio Rampelli.

 I motivi del divorzio

“E’ con sincero rammarico che Vi comunico – con la presente – la mia decisione di lasciare in data odierna il partito ed il gruppo parlamentare. La scelta, sofferta ma meditata, giunge al termine di una lunga fase di disagio per opzioni e posizioni non condivise, di cui Vi ho sempre tempestivamente e formalmente messi a parte, che hanno a mio awiso stravolto il significato stesso di quel soggetto politico cui – insieme – decidemmo di dare vita nel dicembre del 2012”.

Fdi non è stata la casa della destra auspicata

Corsaro indica poi limiti del progetto di Fdi: “Anzitutto – va riconosciuto – non ha funzionato (e non solo per colpe endogene) il principale obiettivo che ci eravamo prefissi: quello di tornare ad offrire una casa comune ai tanti che, realizzato il fallimento politico del PDL, si sono trovati orfani di un riferimento che fosse “naturalmente” di destra”.

Il dissidio ideologico di Corsaro che sognava una destra occidentalista 

“Nella realtà, il nostro cammino è stato guidato più che da una naturale stella polare, da una continua e spesso contraddittoria pesca delle occasioni. La sacrosanta alterità a questa Europa, figlia di interessi finanziari ed oligarchie massoniche, si è quindi tradotta nel semplice ma fuorviante abbraccio allo slogan ” No Euro”, dimentichi di una storia che ci ha visto rappresentare con torza i bisogni delle categorie non protette – piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, lavoratori autonomi – che sarebbero, se vogliamo essere seri, massacrati da una peraltro impossibile scelta unilaterale dell’ltalia di uscire oggi dalla moneta unica. Ancora, sui temi più generali che attengono I’economia, abbiamo finito per interpretare una deriva pauperista, icui contenuti ricalcano più le parole d’ordine del partito socialista pre-craxiano, che le logiche battaglie di un soggetto di destra del terzo millennio. La mia scelta di votare a favore del “Jobs Act’ – una legge delega la cui eventuale critica può al limite essere formalizzata in sede di decreti attuativi – è stata da me ampiamente motivata dalla considerazione che i suoi contenuti fossero identici ai programmi elettorali di AN e PdL degli ultimi venti anni. Ed è stata resa addirittura inevitabile, come necessaria reazione, dal fatto che molti lra noi disorientando il potenziale, naturale elettorato – hanno in quell’occasione sostenuto gli stessi argomenti della F\OM, arrivando ad accusare Renzi di essere un emulo di Reagan e Thatcher, quasi che proprio questi non siano stati – con le loro non replicabili sfumature e condizioni – gli unici veri interpreti di politiche di destra, in ogni campo, negli ultimi 40 anni. Assai più fastidio avremmo piuttosto creato al Premier,se con la nostra esplicita adesione avessimo awalorato gli argomenti con i quali stava subendo la contestazione alla sua sinistra, unica realtà oggi in grado di fargli una vera opposizione”.

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Antonio Fiore

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