Esteri. L’ultimo italiano a Tripoli, padre Martinelli: “Non tradisco la mia comunità”

Giovanni Innocenzo Martinelli
Giovanni Innocenzo Martinelli

In Libia volano gli stracci e – con essi – fuggono i nostri connazionali, costretti dalla guerra terroristica a un nuovo, doloroso esodo. A quasi mezzo secolo di distanza dalla diaspora dei 20mila italiani cacciati da Gheddafi, hanno avuto inizio le “preannunciate operazioni di alleggerimento” disposte dalla Farnesina. Da quando l’Ambasciata d’Italia a Tripoli ha sospeso le proprie attività, annunciando che “non è più possibile assicurare assistenza consolare a coloro che, nonostante il chiaro sconsiglio delle Autorità italiane, siano ancora presenti in territorio libico”, sono molti quelli che hanno scelto la via del mare. Il porto di Augusta, in Sicilia, è un via vai di persone, macchine e valigie. Nessuno parla, soprattutto con la stampa. Tra le fila di chi si è messo in salvo, portando con sé pochi effetti personali, non c’è padre Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo di Tripoli: l’ultimo italiano in Libia.

Il vescovo di Tripoli non tradisce la sua comunità

“Io da qui non mi muovo. E non ho paura”. All’appello delle Autorità italiane, padre Giovanni Innocenzo Martinelli, non ha risposto. Nato il 5 febbraio del 1942 sul suolo libico di El Khadra, da una coppia di emigrati veneti, il monsignore ha conosciuto già una volta il distacco dalla sua terra. Tornato poi nel Maghreb, dopo tanti anni di vicariato oggi è determinato a restare “perché – spiega in una lunga telefonata con il Corriere del Veneto – la mia comunità è qui. Come faccio a mollare? Sarebbe un vero tradimento… ”. Non molla padre Giovanni, non fugge, non si nasconde. Il vescovo continua a indossare il saio, a celebrare la messa, a curare la sua comunità di fedeli, pur sapendo di essere – per questi motivi – nel mirino dei fondamentalisti che – come racconta – “sono venuti a dirmi che devo morire”.

Pronto al martirio

“Voglio che si sappia che padre Martinelli sta bene e che la sua missione potrebbe arrivare al termine”, padre Giovanni riflette a voce alta sul suo destino, si rimette a Dio, non teme la morte. La sua determinazione, asciutta, sfida senza incertezze la barbarie delle milizie dell’Isis che, domenica scorsa, hanno trucidato ventuno cristiani copti egiziani. “Ho visto delle teste tagliate e ho pensato che anch’io potrei fare quella fine. E se Dio vorrà che quel termine sia la mia testa tagliata, così sarà. Anche se Dio non cerca teste, mozzate, ma altre cose in un uomo… poter dare testimonianza è una cosa preziosa. Io ringrazio il Signore che mi permette di farlo, anche con il martirio. Non so fino a dove mi porterà questo cammino. Se mi porterà alla morte, vorrà dire che per me Dio ha scelto così… ”.

L’errore degli occidentali: destituire Gheddafi

Per padre Giovanni e la comunità cattolica di Tripoli il post-regime ha significato l’inizio del terrore. “Gheddafi era una persona intelligente, anche se un po’ matto, non ci faceva paura”, racconta il prelato confermando la profezia inascoltata del raìs: “Il regime qui in Libia va bene. E’ stabile. Cerco di farmi capire: se si minaccia, se si cerca di destabilizzare, si arriverà alla confusione, a Bin Laden, a gruppuscoli armati”.

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Elena Barlozzari

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