Charlie Hebdo. La solidarietà pelosa dell’Italia che mise in galera il giornalista Guareschi

guareschicharlieCaro direttore,

l’Italia repubblicana arrestò Giovannino Guareschi e ancora fa finta di nulla. Fa finta di nulla nella celebrazione a corpo appena raffreddato dell’orrenda strage parigina, quella mattanza avvenuta nel giornale satirico Charlie Hebdo e che dal punto di vista istituzionale ha sentito pronunciare le parole sussiegose e di distinguo del presidente del ramo cadetto del Parlamento, Laura Boldrini: “Non possiamo confondere musulmani con terroristi”. Siamo questa roba qua, e lo siamo, come sempre, nel peggiore e grottesco dei modi. Lo siamo quando invochiamo a gran voce la libertà di parola, di espressione, di satira, e il più grande genio della satira nostrana, Guareschi appunto, lo abbiamo chiuso 8 mesi in galera per vilipendio del Capo dello Stato, Luigi Einaudi per la precisione. Era forse un’altra Italia ed erano altri anni. Erano i Cinquanta del boom, il fondamentalismo di matrice islamica manco sapevamo cosa fosse, sui giornali campeggiavano le dispute tra PCI e DC e non c’era un titolo che non recasse la parola “Fiat”. Cambiano gli usi, i costumi, le necessità.

È poco interessante fare l’identikit dei carnefici di Parigi, tacciarli per quello che sono, ovvero macellai, e non dire che i colpi di kalashnikov li hanno esplosi al grido di “Allah akbar”. È poco interessante, e aggiungo pretestuoso, fare i distinguo comodamente seduti in casa, in ufficio, parlandone democraticamente con gli amici al bar, e giungere alla conclusione che sì in un momento del genere non possiamo non dirci francesi. È l’esercizio più comodo, il nostro, quello d’un Paese stanco buono solo ai titoli del giorno dopo. E ora che la Francia piange i propri morti e la categoria dei giornalisti si mobilita in piazza, su Facebook tutti cambiano immagine del proprio profilo con la copertina “Je suis Charlie”, ci sarebbe da chiedere, soprattutto in Italia, dove eravamo quando la libertà fu messa dietro le sbarre.

E in modo anche un po’ più raffinato verrebbe da chiedere alla Francia che ora è in piazza, e giustamente, contro l’orrore islamico e il sangue di quelle povere persone, se ancora ha memoria della raffica di colpi che fece cadavere il giornalista Robert Brasillach, condannato da un tribunale francese, e quindi di popolo, non per atti di guerra, ma per la natura delle proprie idee. Purtroppo nell’omaggiare le esequie è inelegante ricordare davvero tutto, di quando le vittime di oggi erano i carnefici di ieri, di quando i sodali del giorno dopo si comportavano come teocrazie islamiche votate al laicismo quirinalizio. Vestiamo ahinoi una maschera di ferro che rincoglionisce anche la memoria collettiva. Abbiamo coperto gli specchi di casa per paura dell’immagine riflessa, perché ci potessero ricordare, soprattutto davanti a questi giorni dell’odio che talvolta abbiamo fatto idealmente lo stesso. Essere consequenziali vorrebbe che per gli assassini dei giornalisti del Charlie Hebdo fosse applicata una pena di morte, ricordandosi che in guerra il confine tra giustizia e vendetta è assai labile. Ma nell’ipocrisia di cui sopra finiamo pure per essere garantisti. E nelle maglie della nostra solidarietà democratica i tagliagole continuano a spararci addosso. Contenti noi…

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Matteo Orsucci

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