Politica. Prodi (l’uomo della moneta europea affamatrice) non è l’uomo giusto al Colle

prodiLo so che uno che scrive opinioni su di un giornale non dovrebbe abbandonarsi a simpatie ed antipatie: dovrebbe, anzi, invitare il proprio pubblico, oceanico od esiguo che sia, a giudicare con gelida razionalità cose e persone.

Stavolta, però, non ce la faccio: il rospaccio rospo lo devo recere, sennò mi muoio! Io, come credo sia noto nella ristretta cerchia dei miei affezionati lettori, detesto cordialmente i politicanti: li detesto con spirito equanime, facendo mia le definizione di “porcilaia” di cui la mia veneranda madre gratificò, a suo tempo, l’ambiente politico nazionale. Qui, però, andiamo al di là di una generica disistima per i fannulloni ed i peracottari: qui ci addentriamo nell’intricatissima meccanica delle psicopatologie cimminiane. Perché il mio sentimento nei confronti di Romano Prodi, se non è proprio odio, ci si avvicina molto: è il malanimo che può nutrire un nevrastenico nei confronti di colui che incarni tutte le sue nevrastenie ed idiosincrasie. Non pretendo che comprendiate né, tampoco, che condividiate questo mio afflato: ve l’ho detto, esso ha origini remote, che si abbarbicano al mio sbagliatissimo sistema mentale. Tuttavia è così che stanno le cose: Romano Prodi esprime, ai miei occhi, tutto ciò che, in un politico, trovo disdicevole in massimo grado. Se la fisiognomica non avesse dimostrato tutti i suoi limiti, facendo di Lombroso, da precursore come lo si giudicava un tempo, la metafora di un uso scellerato della scienza positivista, direi che proprio di lì parte la mia avversione per Prodi: dall’aspetto untuoso e molle che assume il suo viso, ogniqualvolta egli debba estrudere, quasi fosse un versetto del Pentateuco, qualche immane banalità o qualche turpe sciocchezza. Quell’aria da pupazzo di gomma m’irretisce, attenua le mie facoltà cognitive: in definitiva, scatena la belva. E, appena sento scivolare, come una qualche materia glutinosa, le parolette bonarie, da cui trasudano un’infinita presunzione, un’abnorme saccenza, una definitiva mancanza di modestia, dal profondo dei miei precordi sale una sorta di rutto spirituale, quasi che la mia anima sensibile provasse la necessità impellente di riaffermare la propria indignazione. Perché Prodi, appo me, rappresenta la quintessenza assoluta di ciò che io detesto di più negli umani: l’ipocrisia. Ogni volta che lo sento parlare di economia, come fosse un sacerdote che ammaestra le folle dal pulpito, rivedo l’Iri, ripenso alla catastrofe dell’Euro, ricordo Gazprom e Kohl, e le millanta consimili gesta compiute dall’officiante, ogni volta che gliene sia stata data l’occasione. Eppure ancora parla, ancora pontifica, il sin verguenza: non si nasconde, non lo sfiora il dubbio di averci portato, in concorso con tanti altri va detto, alla rovina, un passettino alla volta. Con quell’aria da sacrestano di provincia, ha il coraggio disperato di dirci che lui ci aveva avvertito, che lui non c’entra, che lui è la risorsa nuova del Paese. Che lui, lasciatemelo dire, vi prego, è serio. Lui è serioso, ma afferma di essere serio. Non perchè seri siano stati i suoi rapporti con noi, ma perchè lo dice lui, e noi dobbiamo credergli: nella logica prodiana, basta affermare, con la faccia seria, di essere seri per essere seri, ovvia! E serio sarebbe stato il suo uso spigliatissimo della lingua inglese? Quelli che ridono dei capitomboli retorici renziani, se lo sono dimenticato, Prodi, alle prese con l’inglese? Lui, il “Professore” per antonomasia, che, per fare abbassare il volume di un microfono, ripeteva come un’ecolalia “Loud…loud…”, da bravo italiano, privo di strumenti linguistici adeguati, ma tanto pieno di inventiva e creatività. E il serio microfonista guardava il serio Prodi e, poveretto, aspettava il verbo, l’avverbio, il sostantivo, atti a spiegargli se questo benedetto volume fosse troppo basso o troppo alto. Eppure, un’idiota di professoressa ferrarese, a Bruxelles, mi rivelò che Prodi parlava ben cinque lingue: non oso immaginare quali. Perché il prodismo è contagioso: è un virus, è un venticello, più o meno come la calunnia, solo che funziona al contrario. E’ una calunnia in positivo. Mica come le panzane di Berlusconi, l’altra faccia di Prodi, che ha fatto della mancanza di serietà la propria disgraziatissima bandiera. Prodi parla cinque lingue, ma non sa esprimere un concetto elementare nella lingua più comune sul pianeta terra. Prodi è un grande economista, anche se i fatti gli hanno sempre dato clamorosamente torto: la sua carriera è iniziata liquidando il più grande istituto industriale del Paese e, temo, si concluderà liquidando il Paese, tout court, se lo eleggeranno, quod deus avertat, presidente della Repubblica. Prodi è la risposta ai conflitti d’interesse che hanno rovinato l’Italia, salvo, poi, doverci spiegare per chi lavori Nomisma. Prodi è, fondamentalmente, un mito: manca di qualunque fondamento storico, e si regge su di una, ormai consolidata, operazione mitopoietica. Se si prendessero le sue frasi, i suoi discorsi, le sue interviste, e si sbobinasse tutta quanta la “Prodeide”, ne uscirebbe un cumulo di frasi fatte, di banalità da calendario di “Frate Indovino”. Mai, un concetto approfondito, mai uno straccio di ragionamento: soltanto slogan, parabole, infingimenti. Aforismi, ecco: Prodi è un produttore indefesso di aforismi. Sarebbe stato un ottimo autore di facezie. Come quell’arguta profezia sull’euro, la ricordate? Con l’euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più: evvai! Come giudicare uno così? Uno che, da grande economista, ha vaticinato un futuro che è l’esatto contrario di quello che è, poi, accaduto nella realtà? Se uno vi dicesse che domani, sicuramente, spenderà il sole e, dopo che gli avete dato retta, vi beccaste un uragano tropicale mentre tagliate l’erba del giardino, come la prendereste? Come giudichereste lo sprovveduto profeta? Ecco, questo è Romano Prodi: uno che gioca con le fiches degli altri, che spala letame con le mani degli altri. Vi risparmio la battuta sul fondoschiena degli altri, perché, tanto, l’avete già pensata da soli. E lui, serio e badiale, adesso fa la sfinge: nicchia, si nega, fa il Cincinnato sulla Porrettana. Tanto sa che, prima o poi, tornerà il suo momento: che la politica italiana è talmente indecente da venirlo sempre a cercare. E ce lo troveremo al Quirinale, maledizione! Già me lo vedo, comparire a reti unificate, sorridente e benevolo, per spiegarci che verranno tempi felici, sotto il suo ampio mantello protettivo. Saremo tutti più ricchi, più liberi, più maledettamente seri. Anzi, serissimi: più o meno come le condizioni di un codice rosso….

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Marco Cimmino

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