Anniversari. I settanta di Lucio Battisti tra canzoni senza tempo e le simpatie per la destra

battistiSettant’anni. Se fosse ancora vivo, Lucio Battisti compirebbe oggi settant’anni. Basta questo a dare la misura della precocità della sua scomparsa, ma anche quella della sua grandezza. Aveva 35 anni quando interruppe la collaborazione con Mogol, dopo aver prodotto decine e decine di successi, destinati a sopravvivere allo scorrere dei decenni. Inutile indugiare su impietosi paragoni con gli attuali, giovani protagonisti della scena musicale italiana.

Personaggio fuori dal comune, Lucio Battisti. Fascista? Si è dibattuto a lungo delle sue simpatie per il Msi e per associazioni dell’area di destra (ne ha scritto Maurizio Cabona su “Il Borghese” anni fa e nessuno lo ha smentito). In realtà è stato qualcosa di più di un simpatizzante… Più Battisti si affannava a ribadire il suo completo disinteresse per la politica, più le accuse dei benpensanti crescevano. Nell’Italia degli anni ’70, pareva impossibile che un cantautore si limitasse semplicemente a scrivere canzoni, parlando di donne, di amore, di vita. Pareva scandaloso che un artista non dichiarasse il proprio “impegno”, che poi non voleva dire altro che piegarsi ai dogmi del regime culturale marxista per assicurarsi un posto al sole. Battisti non voleva essere “impegnato” e questo bastò a etichettarlo come “fascista”: come disse Pierangelo Bertoli, “negli anni settanta si sapeva che Battisti stava a destra e che era vicino al MSI. Non c’era bisogno di prove, lo si sapeva e basta”. E ai camerati non sembrava vero che ci fosse qualcuno che, a torto o a ragione, era considerato dalla loro parte: così, si cominciò a fare l’esegesi dei testi (di Mogol), a fantasticare sui “boschi di braccia tese” della Collina dei ciliegi, sulle suggestioni di Il mio canto libero e di Uno in più (“Una voce sta cantando, ma son pochi ad ascoltare; i gabbiani stan gridando per poterla soffocare […] se quel canto vuoi seguire, puoi cantare… e così tu sarai uno in più con noi!”), sulle “nostre aspirazioni” del Nostro caro angelo, che “il buio filtrano” e a cui “traccianti luminose […] additano il blu”. Non a caso per le strade d’Italia, alla sua morte, gruppi di destra hanno affisso manifesti (alcuni anche con “Ciao Lucio” e una croce celtica come firma).

Personaggio discreto, schivo, lontano dai riflettori. Dal 1970 aveva smesso di tenere concerti dal vivo, anche per evitare di “esporsi in vetrina”: preferiva – disse – che il pubblico comprasse i suoi dischi per le sue qualità musicali e non per il fascino del personaggio. Niente a che vedere, insomma, con l’attuale industria musicale, in cui è spesso la canzone a essere funzionale al video e non viceversa, in cui i personaggi del jet-set sono costruiti a tavolino, pompati fino allo stremo dal sistema mediatico e venduti a un pubblico ormai globalizzato. Il suo rifiuto di posare in foto e rilasciare interviste, nella primavera 1972, gli aizzò contro tutti i giornali dell’epoca, che reagirono con qualcosa di molto simile a un linciaggio, fino a definirlo “un dilettante spaventoso”, un “pallone gonfiato”, uno “scopiazzatore”.

Era, invece, uno straordinario innovatore, il primo a fondere la tradizione melodica italiana con le nuove sonorità pop e rock provenienti dal mondo anglosassone. Al Festival di Sanremo del 1969, mentre Iva Zanicchi proponeva Zingara, Battisti esordiva con Un’avventura, presentandola insieme al mostro sacro del R&B e del soul Wilson Pickett. E, sempre un passo avanti agli altri, forse anche rispetto al proprio pubblico, proseguì per la sua strada fino alla collaborazione con Pasquale Panella, allo sperimentalismo di album come Don Giovanni e Hegel, in cui facevano addirittura capolino sonorità eurodance.

Il più grande innovatore della musica italiana del XX secolo, ma anche il suo esponente più popolare. Per ogni album di un cantautore, sono di solito due o tre le canzoni destinate a diventare a diventare hit (quelle di cui, generalmente, vengono pubblicati i singoli). Nel caso di Battisti, quasi tutte le canzoni pubblicate nei primi anni ’70 non solo sono salite ai vertici delle classifiche, ma hanno finito per diventare successi senza tempo, continuando a emozionare intere generazioni e penetrando con profondità ineguagliata nella cultura popolare del Paese.

“Ho un anno di più e qualcosa in meno, tu”. Buon compleanno Lucio, nostro caro angelo.

Marco Mancini

Marco Mancini su Barbadillo.it

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