Esteri. Crisi umanitaria in Libano, Italia in prima linea

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L’Italia accoglie già molti rifugiati attraverso altri canali, una parte dei rifugiati che arrivano in Italia attraverso la Libia è siriana. Quindi l’Italia sta già facendo la propria parte”. Questo è stato l’ultimo appello lanciato da Federica Mogherini da titolare del MAE (Ministero affari esteri), il 28 ottobre scorso a Berlino. Alla Conferenza dei ministri degli esteri europei, la Mogherini ha voluto ricordare come l’Italia sia in prima fila nel sostegno al Libano, nazione che accoglie milioni di rifugiati siriani e iracheni. Un sostegno dal quale non possono esimersi gli altri paesi occidentali. Una situazione difficile, aggravata dalla vicinanza del Paese dei Cedri con il campo di battaglia nel quale ormai milizie islamiche di Isis e Jabat Al Nusra, soldati di Damasco e occidentali combattono una guerra che non ha più confini nel mondo arabo.

In Libano, il delicato equilibrio tra le minoranze islamiche e cristiane assicura ancora una certa stabilità interna. Ma il milione e seicentomila profughi, su una popolazione di quattro milioni e quattrocentomila libanesi, è un allarmante fattore di emergenza e non solo umanitaria. Mancano le risorse necessarie a gestire una marea umana, che i soli campi non possono più contenere. L’accoglienza, inizialmente dettata dalla solidarietà verso un vicino in guerra, si è trasformata in una convivenza difficile. Nel corso di un’intervista rilasciata a fine novembre ad Asia News, il responsabile della Caritas di Beirut padre Paul Karam ha ricordato come “in questi tre anni sono aumentati i furti, i rapimenti, le violenze legate alla presenza di questi rifugiati. Tanti di loro attaccano la gente, o vogliono rubare…In questi anni il tasso di delinquenza è passato dal 15 al 60%”.

Ad aggravare la situazione, c’è la possibilità che il conflitto che infiamma la Siria si estenda anche al Libano. E non sarebbe nulla di così assurdo: il Partito di Dio (Hezbollah), tra tra le maggiori formazioni politiche del Libano, è apertamente schierato con Assad. Cinquemila i guerriglieri che, nel 2013, sono sbarcati a Tartus per combattere Jabat Al Nusra al fianco dell’esercito regolare siriano. Una partecipazione che ha già esposto il territorio libanese a rappresaglie, non ultimo l’attacco suicida del 20 settembre scorso ad un checkpoint hezbollah sul confine siriano, che ha causato diversi morti. Va poi considerato che la carenza di risorse (acqua, cibo, generi di prima necessità) nei campi profughi, potrebbe dare origine a malumori e a focolai di rivolta, strumentalizzabili da coloro che intendono destabilizzare la nazione.

Tra quelle occidentali, l’Italia è la nazione più impegnata nel fornire supporto logistico e aiuti per arginare l’emergenza. A luglio, la Direzione generale cooperazione e sviluppo del Ministero degli Esteri, ha stanziato sette milioni e mezzo di euro per le missioni Unicef, Pam, Unhcr e Comitato Internazionale della Croce Rossa, in ottemperanza agli impegni sottoscritti ad inizio anno alla Conferenza dei Donatori di Kuwait City. Gli interventi italiani in Libano ammonterebbero, secondo dati MAE, a 150 milioni di euro ripartiti in 50 progetti di sviluppo.

Agli aiuti economici, si aggiunge la sempre presente missione UNIFIL comandata dal generale Luciano Portolano, che vede circa un migliaio (su 12 mila totali) di nostri soldati vegliare sull’ordine pubblico ed occuparsi dell’addestramento dell’esercito libanese. Attenzione, quella italiana, che si manifesta anche con iniziative mirate a rafforzare i rapporti di cooperazione tra le minoranze.

Il 30 novembre, l’UISP (Unione Italiana Sport per Tutti) con Vivincittà ha coinvolto un migliaio di persone, compresi molti bambini palestinesi, in una maratona per le strade di Tiro. Sempre nel nome dello sport Unhcr e Fondazione Milan hanno inaugurato il Centro sportivo di Btekhnay, destinato a ragazze siriane e libanesi. Tentativi diversi per evitare che il Paese dei Cedri venga fagocitato da una guerra civile che ormai non ha più confini: nel fronte ribelle anti Assad l’influnza dei gruppi jihadisti è forte, con infiltrazioni del Califfato islamico che fanno di Siria ed Irak un unico campo di battaglia. Sport e UNIFIL a parte, è necessario che l’appello dell’ex Ministro Mogherini ad un impegno concreto dell’Occidente, non resti inascoltato, per non incappare nel rischio di vedere capitolare quella che è forse l’unica democrazia del mondo arabo, con conseguente ulteriore destabilizzazione dell’area del Mediterraneo sud orientale.

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