Destra asfaltata. Le ragioni di un ventennio fallimentare, monito per il futuro prossimo

an4La destra che non c’è nel Pdl (e nel M5S). Era questo il titolo dello stimolante articolo di Angelo Mellone di qualche giorno fa che si concludeva con l’invito all’azione perché “c’è una mole gigantesca di cose da fare”. Ebbene, sono d’accordo sul contesto tratteggiato in quelle righe in cui, dopo aver descritto il nulla che pervade la politica, si passa a designare con puntualità il percorso da compiere per il futuro. Tuttavia ho l’impressione che vadano preliminarmente chiariti altri punti, altrimenti non si esce dalle sabbie mobili.

Mi limito ad una domanda, la più superficiale di tutte, che però non è secondaria. Perché è successo? Il mio contributo al dibattito lo sintetizzo in pochi punti seguendo le suggestioni del suo articolo e sperando che i lettori mi perdonino il carattere approssimativo. Salto, perciò, a piè pari tutte le questioni dirimenti e fondamentali come i nuovi modelli di welfare, di famiglia, di sovranità, il nuovo patriottismo, i populismi, eccetera, per troppo tempo rimaste nell’ombra e perché non sarebbe corretto tentare di sbrogliare questa matassa in poche battute. Così pure non entro nel merito di un eventuale contenitore di destra che raccolga le varie anime. Credo che nei prossimi mesi ci sarà tempo per ritornare su questi temi.

La destra

Mellone afferma che non c’è destra nel grillismo, nel montismo; non c’è destra nel berlusconismo, nemmeno nel Fli e nel partito di Storace. E’ parzialmente vero. Sono formazioni diversissime e molte di esse addirittura confliggenti per progetti, strategie e linguaggi. Ma le destre sono sempre state tante (mai dimenticare la lezione di Prezzolini) perché non esiste un modello di riferimento. Ora, non si tratta di accusare chi si è turato il naso in questa tornata elettorale (e non trattasi di subdola autodifesa, perché non voto da una decina d’anni) ma lavorare nel terreno che si ha a disposizione.

AN

Con An vi era un contenitore di un certo peso elettorale e politico e non possiamo chiudere il cerchio delle analisi additandone i limiti nella sudditanza al Cavaliere e alla Lega. Mi sento di condividere le considerazioni generali sul tema della mediocrità di molti dirigenti che però se non accompagnate da ulteriori riflessioni restano incomplete. Infatti, tranne nella primissima fase dove An si caratterizzò per attivismo e speranze individuali e collettive, vi è stato poi il buio totale. Non vi sono mai stati grandi dibattiti e sugli stessi temi si è detto tutto e il contrario di tutto persi tra coccinelle varie. A ciò va aggiunto che, in tanti, un attimo dopo lo scioglimento di An, sono passati da un esperimento all’altro, da un movimento all’altro, da una Fondazione all’altra, così come si prende un autobus, rinvigorendo la confusione. Per carità, salvo la buona fede e la volontà di fare nuove sintesi, soprattutto nel tempo della postmodernità, ma se si fosse tenuta qualche barra ferma non sarebbe stato poi così male.

In questa seconda fase iniziarono anche a serpeggiare le prime critiche ad un certo modo di intendere la politica come fatto leaderistico e carismatico. Le allusioni nemmeno tante velate erano per il Cavaliere ma nessuno si sognò di indirizzarle all’ex presidente di An. Una altra doppiezza non scusabile. La leadership di Fini era stata per lungo tempo intoccabile (oltre che impalpabile) ma nessuno mai l’ha messa in discussione. Si criticava il leaderismo ma non si guardava in casa propria.

Il cambiamento

Se ora, nessuno può intestarsi una idea di Rivoluzione civile, è perché una generazione che è passata dal ghetto a Palazzo Chigi, si è dimostrata priva di coraggio, disinteressata a smuovere i gangli vitali della società e della economia, sedotta dall’establishment e dai salotti. Ma le macerie di cui parla Mellone sono anche frutto di tanti accoliti che hanno mietuto molto in termini di soddisfazioni professionali e che – quando potevano – non hanno mosso un dito per non perdere il terreno conquistato sul piano personale. E allora chiedo ai lettori. Citatemi in questi venti anni chi, da destra, ha fatto battaglie per cancellare il fenomeno dei baroni nelle università e ha fatto in modo che si aprissero porte e finestre ad un mondo rimasto fuori per motivi ideologici? Chi ha tentato progetti cultural-editoriali di rilievo magari sul modello dell’Italia settimanale? Chi ha pensato di fare in modo che vi fossero adeguati spazi televisivi per operazioni culturali mirate e non solo per far trastullare gli amici degli amici in insensati ed improduttivi esercizi di egotismo? La risposta è pochi, pochissimi.

La Meritocrazia

La decadenza sul piano etico e morale è fatto ciclico ma non dobbiamo destarci solo ora che suonano le campane a morto della seconda repubblica. E’ vero, come scrive Mellone, che ci siamo trovati di fronte un modello politico-istituzionale dove “una casalinga pescata a sorteggio può diventare ministro dell’interno” ma il tema della meritocrazia non può venir fuori solo per i casi eclatanti o per listini bloccati, anche perché per lungo tempo nani e ballerine passavano dalle parti di via della Scrofa e tanti, ma proprio tanti, hanno goduto di prebende di vario tipo dalla destra di governo senza incidere in alcun modo nella società e nella cultura. Prendersela con le Minetti di turno significa dotarsi di un facile bersaglio e spostare scientemente il bersaglio.

Fini

Fini è stato il colpo di grazia. Ha svuotato AN, co-fondato e lasciato il Pdl e infine improvvisato un partito che su molti temi ‘sensibili’ (diritti civili, immigrazione, eccetera) ribaltava completamente quanto asserito dalla cultura di destra per decenni. Operazione legittima, ci mancherebbe. Le destre europee si stanno evolvendo (o involvendo?) in direzioni abbastanza chiare che Fli tentava di seguire. Ma in Italia, tutto ciò è avvenuto come fatto palesemente strumentale, cioè per dare sostanza ad una lotta politica contro Berlusconi che altrimenti sarebbe apparsa sterile e personalistica. Gli elettori hanno emesso la loro sentenza ma intanto si sono accumulate altre macerie. Ecco perché i responsabili sono tanti e non stanno solo in Parlamento.

Luigi Iannone

Luigi Iannone su Barbadillo.it

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