E invece la maledizione della “gioiosa macchina da guerra” si ripete: dopo Occhetto e Prodi, adesso è Bersani a veder ridotto (di fatto annullato) un vantaggio che sembrava acquisito. Tante le ragioni di questa débacle che vanno ben al di là dei meriti rispettivamente del Cav e del comico genovese. Non ha pagato, con tutta probabilità, la lunga gara di nervi che ha portato il Pd a una campagna elettorale continua e stremante sia all’interno che all’esterno del partito. Certo, esplosione democratica sono state le elezioni primarie, ma le lacerazioni tra Bersani e Renzi si sono fatte sentire: a maggior ragione con la disaffezione di una fetta di elettorato che, sconfitto il sindaco di Firenze, ha preferito rifugiarsi nel voto di protesta di Grillo piuttosto che scegliere il duo Bersani-Vendola.
Si dice, poi, che proprio l’esaltante vittoria delle primarie – con relative proiezioni del partito al 35% – avesse convinto i vertici del Pd di una vittoria liscia su un centrodestra che era stato asfaltato in tutte le competizioni elettorali degli ultimi due anni. Paradossalmente proprio l’inedito asse composto dal Renzi e D’Alema aveva messo in guardia Bersani dalla sottovalutazione della capacità di rimonta di Berlusconi. Presunzione a parte, comunque, non sembra sufficiente questo per valutare appieno il risultato. Con tutta probabilità è stato proprio quell’«abbraccio mortale con Monti», come ha spiegato Antonio Ingroia, la ragione più vera di questo risultato choc per il centrosinistra: il falso tira e molla con il “professore” («ci alleiamo, non ci alleiamo») in questa campagna elettorale, infatti, oltre a dimostrare l’incapacità del centrosinistra di credere nella vittoria piena, ha sancito una volta di più il profilo di “continuità” con l’esperienza Monti. I risultati testimoniano il tasso di gradimento tra gli italiani…