Archiviare il ‘900: ecco il toccasana per l’ attuale crisi economica e sociale. Un po’ come certi sciroppi in voga nel Far West e buoni per tutti i malanni. Ricetta facile, in apparenza, con la sua brava dose di retorica, ma anche con l’inevitabile confusione provocata dalla concitazione per la svolta “epocale”, sollecitata dal novismo renziano.
Siamo seri: possono bastare le sette paginette del “Job Act” per lasciarci alle spalle un secolo di Storia italiana e non solo ? E poi quale ‘900 ?
Il dubbio, di fronte a tanta volontà “riformatrice”, è che, a forza di demonizzare il ‘900, si rischi di cadere all’indietro, considerando il secolo trascorso un’inutile parentesi da archiviare, per poi precipitare nell’ 800. Ritrovando che cosa ? Magari l’idea di un’organizzazione del lavoro “spezzatino”, dove il rapporto uno a uno lasci solo e “disarmato” il lavoratore, facendo della precarietà un modello. Per cui, alla fine, a diventare precaria è l’intera società, con quel che ne consegue e che già bene si coglie nell’emergere delle nuove povertà e delle nuove solitudini.
Il rischio poi, in questo “ritorno al passato”, è che qualche buontempone, in cerca del sole dell’avvenire, ritiri fuori la lotta di classe come soluzione e magari il comunismo come aspettativa. In un tempo smemorato come l’attuale il rischio è tutt’altro che improbabile. Attenzione allora a non tirare troppo la corda delle deregolamentazioni sociali. Se dal ‘900 si deve uscire non è certo precipitando nel Secolo “stupido” – come Léon Daudet definiva il XIX – ma guardando avanti, proprio nella consapevolezza degli errori compiuti e cercando soluzioni più mature alla crisi.
La Chiesa Cattolica, a cui molti, oggi, si appellano a corrente alternata, cioè a seconda delle convenienze, molto ha detto e scritto , nel vituperato ‘900, in tema di dottrina sociale, facendo chiari discorsi di principio e fissando una serie di priorità sui cui varrebbe la pena attardarsi:
– Uno sviluppo che abbia di mira “una visione globale dell’uomo e dell’umanità”, intesi “come promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo” (“Populorum Progressio”).
– Il controllo dell’attività economica: “Lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell’uomo e non si deve abbandonare all’arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere, né della sola comunità politica, né di alcune più potenti nazioni (“Gaudium et Spes”).
– La dignità di coloro che lavorano : “La Chiesa ritiene suo compito di richiamare sempre la dignità e i diritti degli uomini del lavoro e di richiamare sempre la dignità e i diritti degli uomini del lavoro e di stigmatizzare le situazioni in cui essi vengono violati , e di contribuire a orientare quei cambiamenti perché si avveri un autentico progresso dell’uomo e della società” (Laborem exercens”).
– Il superamento dei confini predeterminati all’attività economica d’impresa, attraverso la “funzione sociale” della proprietà.
– La distribuzione degli utili e l’arricchimento.
La ricca dottrina partecipativa, sviluppatasi nel ‘900, ha dato gambe e concretezza normativa a tali indirizzi. Pensare di dimenticare tutto ciò, insieme alle esperienze fatte, significa riperpetuare vecchie politiche che tanti danni hanno provocato sulla via di un illusorio “progresso”. Preso atto di questo si tratta di trarre le dovute conseguenze e di darsi una regolata, evitando la politica del torcicollo, che tanto piace ai vecchi assertori del radicalismo liberale e ai neomarxisti, i primi impegnati a raccogliere subito i lori bravi “dividendi”, i secondi pronti a strumentalizzare il disagio sociale. Gli uni e gli altri figli dello stesso Secolo “stupido”, facce di una stessa moneta, ormai, visti gli errori, non più spendibile.