Cinema/mostre. “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini: 50 anni dopo a Matera

Pasolini ed Elsa Morante a Matera nel 1964 (Cineteca Bologna)
Pasolini ed Elsa Morante a Matera nel 1964 (Cineteca Bologna)

Un Pasolini inquieto e antiborghese, che cerca invano di ritrovare gli echi evangelici nella terra d’origine di Cristo, ma, deluso dalla Palestina, si rivolge al Sud arcaico e profondo, e rimane “folgorato” dalla bellezza aspra e dall’umanità verace della Murgia apulo-lucana. Questo il fil rouge di il “Vangelo secondo Pasolini. Volti, luoghi e suoni della Murgia a 50 anni dal film”, la rassegna dedicata al 50esimo anniversario dell’uscita del capolavoro del regista e scrittore scomparso tragicamente nel 1975, iniziata ieri e che proseguirà fino al 7 novembre, sulle tracce dei paesaggi visivi, sonori e culturali del capolavoro girato tra Matera e il territorio dell’entroterra barese nel 1964. Un percorso lungo i luoghi della terra che con le sue spigolosità rupestri e dei i volti dei suoi abitanti, popolani dalle fattezze scolpite nella pietra, facce e corpi di quel “popolo di formiche”, come venne definito da Tommaso Fiore, conquistò l’intellettuale di origini friulane.

“Pasolini: Cristo non si è fermato a Eboli”, è l’evento inaugurale della rassegna, tenutosi a Gravina in Puglia, sede del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, alla presenza del presidente regionale Nichi Vendola, autore di lunga e appassionata rievocazione della poetica de “Il Vangelo secondo Matteo”. Un tributo non di maniera, quello del governatore pugliese, nelle vesti di profondo conoscitore dell’opera pasoliniana più che del politico. Un omaggio che sembra ricalcare “da sinistra” argomenti vicini a quelli di Marcello Veneziani, ammiratore del comunista eretico Pasolini, al punto da ritenerlo uno dei riferimenti della “destra divina”, ricordando la sua poesia “Saluto e Augurio”, l’ultima scritta prima di morire, che lo scrittore dedicò a un giovane fascista, confessando il suo amore disperato del passato e della tradizione ed esortandolo ad un triplice comandamento che è un inno alle radici e all’identità della società contadina: “Difendi, conserva, prega”.

“Pasolini – dichiara Vendola – cercò lo scenario giusto per il film in Palestina, voleva trovare un luogo lontano dalla civiltà borghese, preistorico, quasi mitologico, che rappresentasse un’alternativa al presente, alla modernità del capitalismo omologante che cancella le differenze, impone un monolinguismo orribile dove le specificità spariscono. Ma il Medio Oriente, già sconvolto dai conflitti, lo deluse. Allora si volse al Sud Italia, a quella Matera dei Sassi che tanto aveva fatto discutere la politica del dopoguerra”. Una scelta, quella del territorio murgiano, non casuale: “Il Sud di quegli anni è per Pasolini l’ultima trincea contro la modernità livellatrice”.

“Il Cristo murgiano di Pasolini – continua Vendola – non è un predicatore socialista ma ha una dimensione epico-lirica, quasi manieristica. E’ un’icona severa dell’anticonformismo, un mistero che si incontra con quello dell’autore e del suo sacrificio. Un autore che pur nel suo impegno politico, non smise mai di chiedersi, come ne “Le ceneri di Gramsci, se fosse necessario a un certo punto separarsi dalla storia e dai suoi drammi per poter amare più compiutamente la Bellezza”.

“Il Vangelo secondo Matteo”, quando uscì, piacque più ai cattolici che ai comunisti. La recensione dell’Unità, organo del partito che avrebbe espulso Pasolini “per indegnità morale”, si limitò a scrivere che “il nostro cineasta ha soltanto composto il più bel film su Cristo che sia stato fatto finora, e probabilmente il più sincero che egli potesse concepire. Di entrambe le cose gli va dato obiettivamente, ma non entusiasticamente atto”. Il Cristo di Pasolini, un comunista antiprogressista, intimamente religioso, non poteva piacere ai benpensanti di destra e soprattutto di sinistra. Siamo certi che li scandalizzerebbe anche oggi.

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Francesco Mastromatteo

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