Di che cosa si tratta? Un sostanziale arresto, anche per anni, senza accuse precise e senza processo. Un po’ quello che succede ancora oggi nelle Sei contee occupate del Nord Irlanda dove i militanti repubblicani finiscono in carcere per sospetta attività “terroristica”. Ma senza l’obbligo della prova. Come in Corsica, dove i militanti corsi vengono rinchiusi in carcere dai francesi per colpa delle loro idee. Samer Issawi, 33 anni originario di Gerusalemme Est, digiuna da 200 giorni ed è ancora vivo solo grazie a flebo di glucosio e sali minerali. Dall’inizio della protesta ha perso ben 47 kg e vive su una sedia a rotelle. Sono 310 i cittadini palestinesi che si trovano dietro le sbarre a causa della “detenzione amministrativa”. E sono 5mila quelli detenuti, tra cui anche minorenni, donne e anziani. Quello che li accomuna è lo scarso rispetto dei diritti umani e della persona, il non poter vedere i familiari, in una situazione che l’incaricato speciale dell’Onu per i diritti umani, Richard Falk, ha definito di “detenzione disumana”. Anche la Croce Rossa Internazionale è intervenuta sul caso riuscendo a visitare i prigionieri e richiamando le autorità israeliane al diritto di visita dei familiari ai detenuti e ha espresso preoccupazione per le condizioni degli scioperanti. Oltre a questo appello, è in atto una mobilitazione internazionale delle Comunità palestinesi e delle associazioni a loro vicine. Quello che manca è un intervento della Comunità internazionale che dovrebbe richiamare lo stato di Israele al rispetto dei diritti civili e umanitari. Quello che manca è una campagna mediatica che abbia il coraggio di raccontare tutto questo: della Palestina, del Nord Irlanda, della Corsica e di tanti altri luoghi dove si lotta per l’autodeterminazione. Mentre il mondo “normalizzato” rimane in silenzio.