Musica. Lino Patruno in Abruzzo racconta le radici siciliane del jazz

patrunoLino Patruno ha chiuso la 15° edizione del “Festival Pietre che cantano”, a Rocca di Mezzo (L’Aquila) con un concerto jezz, come lo chiama lui, non jazz; quel jezz delle origini, quello in cui il rumore delle bacchette del batterista, alla fine del pezzo, rimane immortalato nel disco.

“I jazzisti italiani di oggi imparano solo ad essere veloci sullo strumento, noncuranti della storia del jazz. Credono lo abbia inventato Charlie Parker, sia proseguito con Miles Davis e John Coltrane, con lui invece, per me, il jazz finisce”.

Così Patruno (banjo) e la sua illustre band: Giannluca Galvani (cornetta), Michael Supnick (trombone), Gianno Sanjust (clarinetto), Silvia Manco (pianoforte e voce),Guido Giacomini (contrabbasso), Riccardo Colasante (batteria), hanno presentato uno spettacolo in cui tra racconti e musica, sono tornate a galla le vere origini del jazz.

Il jazz è nato in Sicilia e poi è stato esportato. Girolamo La Rocca, un giovane trombettiere, era uno dei tanti che a quel tempo emigrarono dalla Sicilia (Salaparuta) a New Orleans.

Gli emigrati si fermavano a New-Orleans non perché fosse una città straordinaria ma perché il biglietto Palermo-New-Orleans costava la metà del biglietto New-Orleans-New York. Girolamo La Rocca rimase in America e fece 4 figli. Il più piccolo, Nick, mise in piedi un’orchestra di ragazzi siculo-americani e incise nel 1917 quello che è il primo disco della storia del jazz. “Io ce l’ho quel disco, sono cose da manicomio ma io le colleziono” dice Lino Patruno, “Ho anche i contratti originali tra La Rocca e la casa di incisione, la RCA Victor. Quindi il jazz nasce dagli italoamericani. I neri? Hanno inventato il blues”.

Storyville è stato un quartiere a luci rosse di New Orleans dal 1897 al 1917. A Storyville, in quegli anni, furono pubblicati dei libretti chiamati: “Libri blu”. “Possiedo anche uno di quelli”, dice Patruno, strappando una risata al pubblico. I “Libri blu” erano guide alla prostituzione per i visitatori; c’erano gli indirizzi delle ragazze bianche, delle ragazze nere, descrizioni delle case, prezzi, servizi particolari. Era tradizione delle migliori case di Storyville assumere un pianista e talvolta piccole band; il jazz si trovava lì e lì cercava di intrattenere i clienti. Nel 1917 l’America entrò nella I° Guerra Mondiale e a New Orleans, che era un porto militare, arrivavano le navi dei soldati. Quando bisognava ripartire, date le attrattive del quartiere, erano più i soldati che rimanevano a terra di quelli che ripartivano; per questo le autorità decisero di chiudere il quartiere. Così le signorine e i musicisti, per continuare a lavorare, andarono nelle grandi città del nord: New York, Chicago… Il jazz prese il volo.

Nel Nord America pian piano si andava affermando Tin Pan Alley, il nome dato all’industria musicale newyorkese che dominò il mercato della musica popolare americana tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo. Uno dei nomi più famosi associati a Tin Pan Alley era George Gershwin.

“Gershin morì giovane, a 39 anni, per un tumore al cervello” dice Patruno con la sua voce spezzata, “C’è un bellissimo film su Gershin: –Rhapsody in Blue–; dato che è molto bello la Rai non lo trasmette”. A New York a quel tempo c’era un’intensa attività teatrale: i musical, da cui solo dopo molti anni vennero tratti pezzi di jazz famosi: uno di questi brani è: “Oh, Lady Be Good!”.

“I dirigenti Rai non vogliono neanche sentire la parola jazz, mentre io all’inizio della carriera ho suonato moltissimo in tv… Oggi la tv è piena solo di imbecillità invece si potrebbe insegnare la storia, l’arte, la musica. Una volta un dirigente Rai mi chiese: “Vogliamo che tu e la tua band suoniate un pezzo durante i titoli di coda”, “Possiamo fare: -When the Saints Go Marching In-” risposi io e il dirigente Rai replicò: “Sì, sì fate quella lì… Marcellino”.

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Marco Minnucci

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