Politica. Nel salotto di Vespa Renzi diventa l’apoteosi decadente della Seconda Repubblica.

Non lo abbiamo ancora capito. Certi paralleli ci hanno distratto. Forse ci verrà in soccorso LAPR1911_mediagallery-pagel’autunno delle tasse e della disoccupazione. O forse, ci sarà bastata l’ennesima interpretazione in Vespa visione del presidente del Consiglio, andata in onda giusto ieri sera. Bastata? Per capire cosa?

Un’immagine che sa di illuminazione. Matteo Renzi non è il Berlusconi di sinistra, il pifferaio magico progressista, il marchettaro laburista. “Eh no, signori miei”, ci siamo sbagliati, vi siete sbagliati. Abbiamo usato categorie politiche e giornalistiche di vent’anni fa: la nuova sinistra, il blairismo fiorentino. Qualcuno ci è cascato come un fesso, qualcuno fesso non lo è mai stato. Osservatelo bene. Matteo Renzi non è un innovatore, è semmai la caricatura vivente della Seconda Repubblica: in tutte le sue pose, in tutta la sua sicumera, la sua sfacciataggine, la sua tecnicissima e stupidissima preparazione amministrativa, la sua raffazzonata cultura libresca e quella disinvolta simpatia balneare capace di far dimenticare l’incespicante inglese maccheronico elargito con pronuncia post Cepu: “my Lords…”.

Nell’apoteosi carnale e decadente della Seconda Repubblica ritrovi la beffarda goduria per il potere di Massimo D’Alema; l’elegante arroganza di Gianfranco Fini; la guascona simpatia del belloccio che ci prova, ahò, Ciccio Rutelli; per non parlare dello sguardo torvo e insondabile di Tremonti, un giorno no global, un giorno global. Persino la pensosa erudizione poppettara di Veltroni, sgorga ovunque, a fiumi, Africa di commozione. Insomma, pensate ad uno dei tanti uomini politici che in questi vent’anni hanno attraversato la scena politica: sono tutti lì, nel Renzi camaleonte, nel Renzi Zelig, che proprio perché tale, costretto ad adattarsi ad una realtà multiforme e in via di scioglimento, fa la faccia, ti guarda, storce gli occhi e ti dice: “ahò, è così, che voi…stacce. Stay on it!”. C’è pure in quel volto, e non ce ne vogliano, il profilo monicelliano dei colonnelli ex An… Non lo scriviamo con cattiveria. Prendiamo atto di una narrazione collettiva che giunge al termine nel corpo e nel volto di un solo uomo, in grado di dar forma a qualcosa che in realtà si è già sciolto durante questa povera e vilipesa Repubblica detta Seconda, ossia l’Italia. Una nazione che non c’è più, che se ne è andata, e che non tornerà di nuovo se non in forme diverse e, ci sia consentito, non più forme televisive. Perché si che c’è anche Berlusconi nel faccione multiforme del renzismo. Ma è solo una conseguenza genetica di un percorso storico che coinvolge tutti, elettori in primis: quello dentro il quale, per vent’anni, si è fatto lo show del “meglio questo che niente”, mentre a telecamere spente si firmavano i peggio trattati e le peggio porcate sulla pelle del popolo italiano. E va bene così, che Vespa celebri e celebri ancora l’apoteosi della Repubblica Seconda, che Matteo Renzi assurga ad icona-pop dell’anti-niente di professione. Così che, quando tutto sarà finito come è già finito, quando finalmente lorsignori avranno messo la firma sull’ultimo trattato, altri Italiani vorranno prendersi la scena. Quella vera.

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Giacomo Petrella

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