Esteri. Libia nel caos: evacuati 110 italiani

Una foto di reportorio dell'ultimo conflitto libico
Una foto di reportorio dell’ultimo conflitto libico

In Libia oramai il caos è totale. Lo è in realtà da molto tempo, nell’indifferenza generale e colpevole della comunità internazionale e dell’Italia in particolare, ma ora lo stato di cose viene certificato ufficialmente dalla decisione di quasi tutti i paesi di ritirare il loro personale diplomatico, invitando gli stranieri presenti a lasciare il territorio libico.

L’appello in questo senso è stato lanciato, fra gli altri da Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Turchia, Spagna e Malta. Sabato scorso gli Stati Uniti hanno evacuato il personale diplomatico via terra, sotto copertura aerea, dopo che il Segretario di Stato John Kerry aveva denunciato il “rischio reale” per la loro sicurezza. Ieri è stata la volta del suo omologo tedesco.

Anche l’Italia da due giorni sta facendo evacuare la Libia dai nostri connazionali (oltre 100 i già rimpatriati), ma mantiene la presenza in loco dell’Ambasciatore Giuseppe Buccino, oramai unico inviato speciale europeo in campo. La via di fuga preferita è quella che porta alla Tunisia attraverso il valico di Ras al Jdeir, dove sono ammassati anche molti cittadini libici che cercano di abbandonare il paese.

Ieri il premier Renzi, in una lettera inviata ai senatori della maggioranza in merito all’attività di riforma della camera alta, ha fatto specificamente cenno alla Libia, come una delle principali emergenze che l’Italia è chiamata ad affrontare, per poi partecipare ad una conference call con Obama, Merkel, Cameron e Hollande proprio sulle crisi in atto in Libia, Medio Oriente e Ucraina. Il Ministro degli Esteri Mogherini, in visita in Montenegro, ha auspicato un coordinamento ONU degli sforzi volti a fermare le violenze.

La situazione sul terreno è gravissima. Da due settimane infuriano gli scontri per il controllo dell’aeroporto di Tripoli tra le milizie di Zintan e di Misurata: il bilancio, secondo il Ministero della Sanità, è di un centinaio di morti ed oltre 400 feriti, da quando, il 13 luglio, è incominciata la battaglia, la più dura dalla fine del regime di Gheddafi. A questo si è aggiunto l’allarme lanciato dal governo libico per l’incendio di un deposito di carburante, colpito da un colpo di mortaio domenica sera, vicino all’aeroporto. Secondo il portavoce della compagnia petrolifera di stato (NOC) Mohamed al-Hrari si tratterebbe di una vera “catastrofe”. In effetti il deposito conteneva circa 6 milioni di litri di carburante e nel raggio di 3-5 kilometri la popolazione residente è stata fatta evacuare.

Mentre le autorità cercavano di domare le fiamme, nel pomeriggio di ieri è esploso un secondo deposito. Lo stesso al-Hrari ha dichiarato la situazione essere ormai “fuori controllo” e il governo libico ha chiesto aiuto alla comunità internazionale per fronteggiare gli incendi e “il disastro umanitario ed ambientale”. Complessivamente, sarebbero 90 milioni i litri di carburante contenuti nei depositi della zona, secondo informazioni lasciate filtrare dalla compagnia petrolifera nazionale. E mentre il governo si produceva inutilmente in un’ennesima richiesta alle milizie di “cessare il fuoco”, il primo ministro Abdullah al Thani ha denunciato “il crollo dello Stato”.

Non è facile immaginare quale possa essere la strategia da adottare per riportare l’ordine nel paese. Molte speranze erano state riposte nelle elezioni tenutesi il 25 giugno per eleggere il nuovo parlamento, i cui membri sono stati proclamati il 21 luglio. Ma la nuova assise dovrebbe riunirsi ad agosto e non essendosi votato per liste, ancora non è chiaro chi siano gli eletti e quale governo potranno andare a formare. Per la verità gli analisti più attenti avevano guardato con scetticismo, se non con preoccupazione, alla competizione elettorale, sottolineando la scarsissima partecipazione al voto, tenutosi peraltro in condizioni di estrema confusione e tensione politica. La tesi di alcuni, poi rivelatasi fondata, era che la conflittualità tra le fazioni in lotta avrebbe potuto ulteriormente aumentare.

In realtà, in questo momento la Libia è “uno Stato completamente fallito”, in preda ad una guerra di tutti contro tutti. Se in Occidente si continua a voler interpretare le vicende in atto secondo il vecchio schema dello scontro tra laici ed islamisti, sul terreno le cose sono un po’ più complesse. Volendo semplificare, almeno per quanto concerne la battaglia per il controllo dell’aeroporto di Tripoli, gli schieramenti sarebbero i seguenti: da una parte le milizie di Zintan, vicine al generale Khalifa Heftar, collegato in particolare con Arabia Saudita ed Egitto, dall’altra quelle di Misurata, sotto l’influenza dei Fratelli Musulmani e quindi del Qatar.

Un confronto, dunque, tutto interno alle forze islamiste, che in seguito al diffondersi delle cosiddette “primavere arabe” ha incendiato l’intero Medio Oriente e l’Africa settentrionale. (dal quotidiano Il Garantista)

Alessandro Sansoni

Alessandro Sansoni su Barbadillo.it

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