Il caso. Tarchi boccia “Sangue sparso”: “Incapace di trasmettere le emozioni del tempo”

“Sangue sparso”? Una occasione mancata di rileggere in chiave storicamente attendibile e identitaria la militanza a destra negli anni settanta e non solo. Questo è il giudizio che emerge dalle mini-recensioni che protagonisti e semplici iscritti ai movimenti di destra stanno diffondendo in rete.

Tra le stroncature più forti c’è quella di Amerino Griffini, intellettuale libero, tra i fondatori di Giovane Europa: “Sono buono e quindi mi preoccupo della salute degli amici di una certa parte politica. Evitate (tanto sarà difficile riuscirci) di andare a vedere il film “Sangue sparso”, inqualificabile, la più brutta pellicola mai vista, anzi no, mi è capitato di vederne un’altra, molti anni fa, di un regista dello stesso ambiente, certo Manera. (…) Una sola parola aggiungo: autolesionismo”.

Sulla stessa linea il professor Marco Tarchi, politologo dell’Università di Firenze e tra i massimi studiosi europei del fenomeno “populismo”. In gioventù animatore della Nuova Destra e dell’area movimentista delle organizzazioni giovanili missine.

Ecco alcuni considerazioni del direttore della storica rivista non conformista Diorama Letterario:
“Fra i vizi di cui non sono riuscito a liberarmi, c’è quello di interessarmi alla memorialistica del neofascismo – quella, cioè, che ha incrociato la mia vita e quella di molti amici per un bel po’ (troppi) anni in un ambiente che prima ho cercato solo di servire e poi, inutilmente, di cambiare. Ho letto, in questi ultimi vent’anni, un gran numero di libri e articoli: presunte testimonianze, ricostruzioni “realistiche” o romanzate, storie di abiura, di conversione, di fedeltà senza fine. Ho potuto quindi constatare come, con le lodevoli eccezioni – dal bel Quello che veramente ami all’istruttivo Colle Oppio vigila, passando per altri pochi esempi – i neopostfascisti abbiano inchiostrato quintali di carta di eufemismi, riletture di comodo, falsità, fanfaronate, apologie, banalità e soprattutto brutta e sgrammaticata scrittura. (…)  Avrei dovuto immaginare che, passando dalla carta alla pellicola (anzi, al digitale), la musica non sarebbe cambiata, ma la sorpresa di vedere annunciato in un cinema fiorentino un film che si preannunciava “dalla parte dei vinti” come Sangue sparso mi ha indotto a un briciolo di indulgenza preventiva. Sono andato a vederlo con alcuni amici “dei bei tempi”. Ohimè. Anzi, ohinoi.

Scegliete voi le parole giuste. Mal fatto? Pessimo? Privo del minimo pathos? A credibilità zero? Patetico? Controproducente? Tutte le espressioni possono passare, ma non rendono.
Se avessi vissuto davvero in un ambiente come quello descritto – o meglio, se l’ambiente in cui ho vissuto fosse stato solo (e non anche) così, me ne vergognerei ogni giorno. Ma anche un microcosmo ricco di personaggi e vicende non edificanti aveva aspetti di un ben altro spessore umano, che in Sangue sparso non emergono mai. Tutto è raffigurato in modo assurdo: un’assoluta incapacità di riprodurre vere emozioni, figure che definire stereotipate è poco (il segretario di sezione che sale e scende le scale per “raccomandare” ortodossia…), clichés ridicoli (le scene con i soliti tre di Lotta Continua – che non c’era più… – nella loro sede sono da Oscar della demenza)…
Speravo che in trent’anni, e con alle spalle governo e sottogoverno, qualcosa fosse migliorato. Illuso!”.

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