L’intervista. Ernst Nolte: “Destra e sinistra hanno ancora senso come categorie politiche”

Ernst NolteConsiderato il padre del revisionismo, Ernst Nolte, 90 anni appena compiuti, è stato uno dei primi ad aver raccontato le illusioni totalitarie del novecento con una logica totalmente estranea alla storiografia ufficiale. Ma se da una parte è celebrato come uno dei maggiori storici viventi, dall’altra è accompagnato da accese polemiche. Il motivo di tanto astio è questo: continua a sembrare operazione dal sapore apologetico l’esigenza di adottare un approccio filosofico, e quindi interpretativo, a fatti storici. La questione non è di poco conto dal momento che questo ostracismo non ha avuto rallentamenti anzi ha creato un pericolo per l’incolumità fisica. Tuttavia, Nolte non si è mai tirato indietro. Non lo ha fatto nemmeno quando a chiamarlo in causa sono state le polemiche pretestuose di un maître à penser del livello di Habermas; o quando c’era da smontare il finto moralismo di Günther Grass. Nel corso dei decenni, pur non potendo fare a meno di registrare la solidità della complessa opera di Nolte, si è preferito dare spazio a facili suggestioni e a faziosità. E così, è stato spesso (e subdolamente) scambiato per un negazionista, col conseguente corollario di respingere aprioristicamente ogni sua posizione. Nulla di più falso: è garantito il rigore logico di un serio lavoro storiografico

Qualche giorno fa, Silvio Berlusconi ha aperto annose diatribe dicendo: «Il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene». Che ne pensa?

Chi decide di evidenziare positivamente un elemento di un partito o di un movimento radicale, generalmente considerato come un nemico dall’opinione pubblica, deve convivere con l’accusa di essere “filofascista” o “filocomunista”. Ma questo tipo di controversia che si rinnova periodicamente è estranea all’approfondimento scientifico. Il compito della scienza è tenere conto delle circostanze concrete, e comprendere piuttosto che condannare a priori.

Che cosa rimane del dibattito sul nazionalsocialismo?

Rimane molto, per esempio, la mia versione storico-genetica della teoria del totalitarismo, non è mai stata dibattuta in maniera troppo approfondita, e non ci si è mai soffermati su quanto essa potesse essere particolarmente chiarificatrice o fuorviante.

Lei ha analizzato il novecento. Potrebbero ripresentarsi i nuovi mostri totalitari?

Sia il comunismo che il nazionalsocialismo hanno attribuito a un gruppo specifico di persone – i ‘capitalisti’ in un caso, gli ‘ebrei’ nell’altro – l’origine del male nella storia. Da ciò è derivata una sentenza di condanna a morte collettiva. Non credo che oggi ci sia un’ideologia forte che si basi su un principio di questo tipo: simili mostri non dovrebbero più ripresentarsi.

Eppure Lei ha parlato dell’Islam come di un terzo radicalismo, dopo nazismo e comunismo. E del fatto che gli europei abbiano timore di mercati azionari e disoccupazione più che del pericolo terrorista.

Bisogna distinguere i diversi livelli: il timore della disoccupazione e il timore del terrorismo non appartengono allo stesso livello.

Ma una crisi economica planetaria ancora più grave potrebbe sconvolgere la vita di ognuno di noi, proprio come il terrorismo.

Naturalmente una crisi economica globale sarebbe molto più grave delle ben note manifestazioni violente di un terrorismo che, di norma, ha un carattere episodico. Ma anche in questo caso, il paragone è improponibile. La prospettiva peggiore è sempre quella di un regime di terrore ideologico che minacci la sopravvivenza di un intero gruppo sociale.

«Sovrano è chi decide nello Stato di eccezione». Possiamo partire da Carl Schmitt per convenire su un punto. Dopo quanto accaduto in Grecia e in Italia, la tecnocrazia ha svelato il suo volto?

E allora, parafrasando la tesi di Carl Schmitt, possiamo affermare che lo stato di eccezione della crisi finanziaria si è imposto su quelli che sono residui di sovranità.

Non crede che la Germania possa essere avvertita dai Paesi dell’area mediterranea come un vero e proprio pericolo?

La riunificazione è stata possibile solo perché gli altri grandi stati europei hanno intravisto e poi riconosciuto ragioni sufficienti grazie alle quali era possibile superare la paura di una Germania unita e forte.

Non pochi però attendono le elezioni del prossimo autunno confidando in una sconfitta di Angela Merkel…

Il governo Merkel-Schäuble potrebbe essere l’unico in grado di rendere accettabile l’assunzione di oneri finora inimmaginabili anche per la Germania. Chi spera che un eventuale spostamento a sinistra produca un consolidamento di questa disponibilità, potrebbe incorrere in un grave errore.

Tuttavia a sinistra, in maniera meno dichiarata a destra, molti partiti europei sperano nella sconfitta di Angela Merkel.

Sarei più preciso: i partiti non-tedeschi, in particolare quelli del Mediterraneo.

Un dato è sicuro: il populismo trova terreno fertile in una democrazia commissariata e in una politica lontana dai cittadini.

Oggi viene definito populismo l’insieme di movimenti di protesta che in alcuni stati europei hanno acquisito grande forza. Molto dipenderà dalla crisi economica: se dovesse assumere caratteristiche simili alla crisi tedesca del 1930-32, si potrebbe arrivare a parziali analogie con quanto accadde con il nazionalsocialismo tedesco.

Ma che l’Europa fosse nata male e cresciuta peggio, lo si sapeva da tempo. In che modo l’Europa nel futuro potrà trovare un suo equilibrio?

Sarei felice di saperlo.

E se la politica riprendesse il suo ruolo? Si dice che destra e sinistra non abbiano più senso, se è l’economia a dettare legge.

Destra e sinistra hanno invece ancora molto senso. Per esempio, come categorie che rappresentino la contrapposizione tra una concezione universalistica di un mondo globale e del tutto immutabile, e l’autoaffermazione di realtà, modelli e strutture particolari. Nella pratica quotidiana, e vero, i partiti non dispongono più di visioni contrapposte di natura ideologica, ma proprio un inasprimento della crisi potrebbe modificare rapidamente questa situazione e mettere in evidenza le diversità.

Se dovesse indicare tre parole per definire una cultura politica in grado di governare le politiche del terzo millennio, quali sceglierebbe?

Proprio per quanto finora Le ho detto, non me la sento di fare affermazioni generiche sul ‘terzo millennio’.

* da Panorama del 31 gennaio 2013

Luigi Iannone

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