Il caso. Ilvo Diamanti sdogana la parola “populismo” nel salotto di Repubblica

Lo sdoganamento è arrivato. A sorpresa. Ilvo Diamanti, il sociologo principe di Repubblica, ha in un colpo solo delegittimato le quotidiane campagne di criminalizzazione contro i populisti italiani ed europei del quotidiano diretto da Ezio Mauro. In un articolo di analisi, intitolato “Siamo tutti populisti”, Diamanti ha invitato a riconsiderare la categoria del populismo, evitando di affibbiare automaticamente al termine una accezione demonizzante.

Ecco il passaggio chiave:

“Meglio, allora, rinunciare a considerare il “populismo” una definizione perlopiù negativa e alternativa alla democrazia. Per citare, fra gli altri, Alfio Mastropaolo, ne fa, invece, parte. Come il concetto di “popolo”. Il quale, quando ricorre in modo tanto esplicito e frequente, nel linguaggio pubblico, denuncia, semmai, che qualcosa non funziona nella nostra democrazia “rappresentativa”. Perché il “popolo” non trova canali di rappresentanza efficaci. I rappresentanti e i leader non dispongono di legittimazione e consenso adeguati. Perché il governo e le istituzioni non sono “efficienti” e non suscitano “passione”. Così non resta che il populismo. Sintomo e al tempo stesso diagnosi del malessere democratico. Meglio non limitarsi a scacciarlo con fastidio. Per guarire dal populismo occorre curare la nostra democrazia”.

Marine Le Pen

Con le elezioni europee alle porte, ogni tentativo di minimizzazione dell’onda populista da parte dei grandi media sta registrando l’effetto contrario: in Italia, dove cresce il consenso per gli eurocritici, come in Ungheria (qui Orban e la destra nazionalista di Jobbik hanno percentuali che superano il 60% dei voti). La riflessione di Diamanti, a cui bisogna riconoscere onestà intellettuale e lucidità di analisi, è figlia di un realismo da intendere come merce rara nei salotti ideologizzati della sinistra culturale: larghe fasce popolari, dall’Inghilterra alla Francia passando per l’Italia e la Grecia, sono marginalizzate dalla politica e progressivamente impoverite dai diktat dell’Eurostato e per questo i partiti e i movimenti populisti sono individuati come alternativa ad un sistema che stra strangolando interi blocchi sociali.  Al di là delle ricette e dei programmi di governo di Marine Le Pen o Beppe Grillo, di Matteo Salvini o Giorgia Meloni (ancora troppo infarciti di slogan d’opposizione), l’avanzata del fronte euroscettico, di destra e di sinistra, segna l’inadeguatezza delle categorie novecentesche per fronteggiare gli scenari della globalizzazione e soprattutto rivela la debolezza delle classi dirigenti attuali nel riscrivere i trattati internazionali davanti a condizioni sociali che non sono più compatibili con gli orizzonti del tempo in cui venivano sottoscritti. E’ tempo che si riscrivano i patti costituenti nazionali e che le nuove costituzioni ridetermino le ragioni dello stare insieme in Europa. Il voto per il parlamento di Strasburgo offrirà segnali netti in questa direzione.

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