Ungheria. La vittoria di Orbàn? Costruita su riforme sociali e patriottismo

orL’affermazione di Viktor Orbàn è la prima conferma che “da destra” un’altra Europa esiste. La volata di Fidesz, il partito nazional-conservatore è stata annunciata però come vittoria di una non meglio identificata “ultradestra” (formula abusata da La Repubblica) ed è solo l’ultima di una serie di mistificazioni: non solo perché il partito è membro del Ppe di Angela Merkel e lo stesso Helmut Kohl ha partecipato con entusiasmo alla campagna elettorale di Orbàn (definito “il caro amico Viktor”); ma anche perché le misure economiche che hanno risollevato l’Ungheria sono tutt’altro che estranee ai programmi di tanti partiti popolari e socialdemocratici.

Fidesz, poi, si pone in maniera diversa, seppur con una piattaforma non proprio dissimile, dai movimenti eurocritici e dalle destre in generale per un motivo in particolare: perché non si staglia come un voto di protesta, di esasperazione e di opposizione; ma rappresenta il suggellamento di un patto di governo che in quattro anni ha elevato la condizione del popolo dell’Ungheria rispetto ai precedenti esecutivi.

Eppure in questi anni la stampa europea (quella italiana su tutte) disinteressandosi totalmente del modello, dei risultati  e delle riforme portate avanti nel paese magiaro, si è lanciata in una campagna ossessiva anti-Orbàn: preso di mira per il suo scivolone iniziale sull’informazione (una sorta di “legge bavaglio” poi dichiarata dallo stesso Consiglio d’Europa «conforme agli standard europei e internazionali» nel 2012) e per aver insistito sulla chiave identitaria nel richiamo costituzionale (dove si legge “Ungheria” e non più repubblica). Una demonizzazione che si innestava nella scia delle “primavere” (in questo caso “arancione”) che i grandi network sponsorizzavano in ogni latitudine per interessi che, adesso è comprovato, spesso e volentieri nulla o poco avevano a che fare con l’ansia di assicurare più democrazia all’interno degli Stati coinvolti.

Ungheresi in piazza festeggiano la vittoria di Fidesz (dal sito ufficiale del movimento)

Nel caso ungherese la conferma di questa forma di pressione arriva da un’interessante analisi di Limes dove si spiega apertamente, citando un articolo del Guardian, come «l’Europa non sia tanto infastidita dalle misure antidemocratiche del premier ungherese, quanto dalla sua indipendenza dal sistema finanziario». Il fastidio di certi uffici dell’Ue nei confronti del premier ungherese viene spiegato così: «Orbán è per ora l’unico capo di governo d’Europa ad aver emanato una Robin tax, una tassa sulle compagnie energetiche (quasi tutte in mano straniera, ndr) e dell’acqua, cresciuta nel 2013 dall’8 all’11%. E la Banca centrale ungherese ha appena annunciato che varerà prestiti speciali per la crescita, che riducano sotto l’attuale 10% il tasso di interesse per i piccoli imprenditori».

Accanto a ciò il governo ungherese si è impegnato in questi anni per ridurre le tariffe dei consumi energetici, ha insistito su quello che in Italia (senza finora riuscirci) chiamano taglio del cuneo fiscale e con un regime fiscale agevolato ha convinto diversi colossi dell’automobile e della tecnologia a investire in Ungheria: la riscossa politica è stata seguita da un rinnovato sviluppo industriale. I salari dei dipendenti pubblici e degli insegnanti sono stati elevati. Ma la decisione che più ha fatto infuriare le burocrazie di ogni sorta è stata la nazionalizzazione della Banca centrale, misura prontamente definita dai centri finanziari «come mettere un elefante nella cristalleria». I risultati di questo “elefante”? La disoccupazione è scesa all’8%, scesi anche il deficit e il disavanzo pubblici mentre le stesse agenzie di rating hanno dovuto registrare da negativo a stabile il livello di affidabilità dell’Ungheria.

Punto di forza nella campagna elettorale do Orbàn è stato il patriottismo. “Sì al libero mercato, ma in un’Europa di sovranità nazionali”: il leader popolare magiaro ha rimarcato la scelta di tirare fuori dalla crisi lo Stato senza ricorrere alle istituzioni finanziarie sovranazionali né alle ricette degli euroburocrati. Ha insomma puntato sull’orgoglio nazionale e sulla dignità di un popolo che è stato protagonista di una rapida trasformazione. In uno dei comizi più intensi della campagna elettorale il premier ha poi descritto con questa immagine i prossimi traguardi da tagliare: “Datemi altri quattro anni, abbiamo trasformato un paese in bancarotta in una nazione fiera e combattiva, una vecchia auto arrugginita in un bolide da Formula Uno”.

Tutte misure e risultati che dopo la vittoria schiacciante ottenuta domenica – senza tensioni, senza fermi, senza alcuna contestazione del voto – hanno iniziato a diventare materia di interesse anche per gli analisti nostrani che hanno dovuto spiegare il perché di una riconferma tutta politica. Alcuni, con chiaro intento denigratorio, chiamano la ricetta di Orbàn “thatcheriana”: decisamente più appropriata a nostro avviso sembra invece “colbertista” dato che l’intervento dello Stato e le scelte politiche di protezione in questa dinamica si sono rivelate determinanti per l’Ungheria. Chiedetevi perché solo a Bruxelles continuano a brontolare…

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Antonio Rapisarda e Ferenc Puskas

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