Il caso. Dalla Fornero a Balotelli: le lacrime come filo rosso di un’Italia senza coraggio

fornerobaloUn’economista di fama e un centravanti. Una stimata accademica e un pallonaro. Un ministro del Lavoro e un calciatore. Elsa Fornero e Mario Balotelli. Che c’azzeccano? Poco, di primo acchito. Tantissimo, a pensarci bene. Da una parte la politica, dall’altra il calcio, due pilastri fondanti dei banconi di ogni bar italiano sui quali tutte le mattine tra cornetti e cappuccini volano le chiacchiere della pancia più vera del Paese. Perché in Italia, in fondo, siamo un po’ tutti presidenti del consiglio e commissari tecnici della Nazionale. Ma torniamo alla ministra e a super Mario. Mondi lontanissimi che si uniscono in celebri lacrime.

E’ il dicembre del 2011 ed Elsa Fornero, vicino a Mario Monti, parla di pensioni. Sta per pronunciare la parola “sacrifici” ed ecco il fragoroso pianto incontrollabile che costringe Monti a richiamarla all’ordine. Allo stadio San Paolo di Napoli, poco più di due anni dopo, Clarence Seedorf richiama in panchina uno spento Balotelli dopo una partita incolore e una settimana di gossip su figli presunti poi riconosciuti. E il bad boy Mario, che dice di ispirarsi a Mike Tyson, non riesce a trattenere le lacrime puntualmente riportate in mondovisione. Piangere non è un delitto, anzi. E’ un gesto involontario che riporta ad un’umanità spesso dimenticata nel festival della perfezione cui assistiamo quotidianamente. Vedere le lacrime di un amico è qualcosa di meraviglioso, che se piange di fronte a te significa che vali tantissimo per lui, che non ha paura di svelarti debolezze e fragilità.

Poi, però, c’è il coraggio e ci sono i punti di riferimento. Non si tratta di prove di forza da bullismo di periferia né tantomeno retorica sublimazione dello spirito spartano prima della battaglia. Si tratta, semplicemente, di coraggio e di responsabilità nell’affrontare la vita e il proprio lavoro. Dalla politica al calcio, vincono le lacrime, molto diverse da quelle promesse insieme al sangue con orgoglio e fierezza da Winston Churchill al proprio popolo. Piangere mentre si annunciano sacrifici significa togliere valore a quei sacrifici, manco fossero un dispetto. Piangere dopo una partita sbagliata, se sei il leader della squadra, è come dire a tutti gli altri che non c’è più speranza, che è finita.

Non ci scandalizzano due lacrime, al massimo fanno vendere qualche giornale in più. Ma non è normale che le lacrime siano il sottile filo conduttore dell’Italia di oggi, dalla politica al calcio, dalla crisi economica alla sconfitta in un big match. Semplicemente, sarebbe bello se insieme al coraggio di piangere ci fosse anche il coraggio di affrontare le sfide con orgoglio, maniche rimboccate, testa alta e responsabilità Perché sogniamo un’Italia che oltre a frignare sappia anche reagire e sorridere. Soprattutto nelle difficoltà.

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Marco Vailati

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