Politica. Renzi chiama Jobs Act il libro dei sogni sul lavoro che non c’è (e glissa sull’art. 18)

maria-de-filippi-matteo-renzi1Come si può non apprezzare il progetto del burattino Renzi sul lavoro? Il suo magnificato Jobs Act? Già il nome, in inglese, rende l’idea di come si preferisca far confusione e non offrire certezze. Ma è scendendo nello specifico che ci si accorge che lo specifico non c’è. Un progetto iperliberista o decentemente sociale? Nel perfetto stile del nulla renziano, Jobs Act contiene tutto ed il suo contrario. Non a caso piace al ministro De Girolamo, e questa è la garanzia che si tratti di un contenitore vuoto.

Solo dichiarazioni roboanti. Come quella sull’assegno universale per chi perde il posto di lavoro. Garantito anche a chi, ad oggi, non ne avrebbe diritto. Bene, ottima cosa. Ma a quanto ammonta questo assegno? Il nodo è questo. Il burattino di Farinetti e Serra immagina un miniassegno da 500 euro o un assegno sostanzioso da 2mila? Legato alla retribuzione precedente che si è persa o uguale per tutti, a prescindere dal lavoro precedente? Ed i soldi, da dove arrivano? Dove li prende?

Il rischio è che il burattino cancelli realtà esistenti, come la cassa integrazione, per destinare le risorse ai suoi nuovi progetti. Ma se la torta attuale è di 100 e serve per tutelare 50 persone, in futuro la torta rimarrà di 100 e tutelerà 80 persone. Non è un grande affare.

Quanto all’articolo 18, il burattino assicura che non è un problema, se ne discuterà poi. Invece è un problema. Perché è fondamentale sapere se le aziende possono licenziare liberamente, a capocchia, o se si cancella la demenziale riforma Fornero ed i licenziamenti possono avvenire solo per giusta causa. Ma il burattino Renzi promette crescenti tutele con l’aumento degli anni di permanenza in azienda: in pratica dovrebbe voler dire che l’articolo 18 decade, le aziende possono licenziare quando e come vogliono, pagando mensilità di indennizzo a seconda degli anni lavorati dal dipendente. Un modo come un altro per liberarsi dei lavoratori più anziani che costano di più perché nella retribuzione ci sono i vari scatti di anzianità.

Anche in questo caso non significa molto, come enunciazione. Se la penalità a carico dell’azienda è pari ad una mensilità per ogni anno di lavoro, si tratta di una porcata nei confronti dei lavoratori over 50. Se la penalità fosse di tre mesi per anno lavorato, allora la tutela sarebbe credibile.

E pure l’obbligo di seguire corsi di formazione per chi è stato licenziato, con l’obbligo di accettare un qualsiasi altro lavoro, non ha molto più senso del resto del piano renziano. Quale corso di formazione? Per quale mansione? E si deve accettare un lavoro qualsiasi, con un qualsiasi stipendio, o l’offerta deve essere in linea con la professionalità del lavoratore licenziato e con la retribuzione precedente?

Non ci sono risposte, perché il nullista Renzi non può fornirle. Solo contenitori vuoti. L’unica certezza è la flessibilità. Per il resto non si sa a quanto ammonteranno le risorse, non si sa quali saranno i criteri, non si sa nulla. L’ideale, insomma, per entusiasmare De Girolamo.

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Leo Junior

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