Matteo Renzi da ieri sera è il nuovo segretario del Partito democratico. E lo è diventato con un risultato netto (il 68%) ma soprattutto con un’affluenza che ha superato di gran lunga tutte le previsioni (funeste) della vigilia: quasi tre milioni di elettori. Segue, con un risultato che sa di vera e propria disfatti, il candidato dell’“apparato” del partito Gianni Cuperlo che si è fermato a un modestissimo 18%. Mentre si è affermata come una corrente ambiziosa quella guidata da Pippo Civati che ha superato il 14%.
Chi perde? L’affermazione del rottamatore arriva come uno choc per un’intera classe dirigente. Per la prima volta, infatti, il partito sarà gestito da un rappresentante estraneo alla cultura politica della sinistra storica (la parentesi di Dario Francheschini non era stata legittimata dalle primarie). Oltretutto il fatto che Cuperlo (che ha raggiunto il 40% tra gli iscritti al partito) abbia raccolto solo un quinto dei consensi degli elettori certifica il fatto che il popolo del Pd (soprattutto nelle regioni “rosse”) ha trovato sì un nuovo interprete, ma scelto all’esterno delle mura di largo del Nazareno. Significativo, poi, il fatto che lo sconfitto per eccellenza di questa tornata non sia Gianni Cuperlo in sé ma il suo principale sponsor Massimo D’Alema (presentissimo in questa campagna congressuale, aveva ribadito di non aver mai perso un congresso in vita sua…).
Perché a sinistra hanno scelto Renzi? Come ha ricordato Marco Damilano, osservatore attento di questo mondo, la vittoria di Renzi riporta all’interno della sinistra la categoria del cesarismo: «Vogliono vincere e prendendo spunto da Gramsci gli elettori hanno votato un “Cesare progressista”». Ciò significa, e lo ha ripetuto il sindaco di Firenze nel suo discorso, che la parola «vincere» non è un retaggio della retorica fascista (questo è stato il motivetto malizioso di molti suoi avversari interni) ma un motivo che deve appartenere a chiunque scelga di misurarsi con il consenso. Un cambio di passo deciso rispetto ai teorici della “non-sconfitta”.
Che cosa vuole fare Renzi? Il suo sogno, oggettivamente, non era quello di fare il segretario del Pd. Immaginava di dover concorrere da candidato premier ma la sentenza della Consulta di certo complica la battaglia per le elezioni anticipate. Sa bene Renzi, poi, che nonostante la larga vittoria dovrà vederla adesso con un ruolo tutto “politico” che lo esporrà a un braccio di ferro con il governo e alla sfida delle elezioni Europee dove la concorrenza (Berlusconi e Grillo) sarà agguerrita. Detto ciò Renzi ha dalla sua l’occasione di riformare la classe dirigente e l’agenda del partito sfiancando allo stesso tempo il governo. Non a caso il suo tentativo assomiglia a quello voluto da Blair con i laburisti: merito e nessun patto a scatola chiusa con la Cgil. Infine ritorna il motivo della rottamazione: «Questa non è la fine della sinistra ma di un gruppo dirigente della sinistra. Stiamo cambiando i giocatori, non stiamo andando dall’altra parte del campo».
E le larghe intese? Renzi nel suo discorso non ha attaccato apertamente Enrico Letta. Lo ha fatto così: «Dopo la sentenza della Consulta qualche politico di lungo corso neocentrista ha gridato: ritorna la prima repubblica. Ma stasera, con il risultato delle primarie, quella bottiglia glie la abbiamo mandata di traverso». Quello che farà con il suo Pd è «mettere tutto l’impegno per una legge elettorale che garantisca il bipolarismo, che tagli i costi della politica». È chiaro che un’affermazione così ampia dà al sindaco di Firenze un mandato chiaro anche sulla sorte di un governo che – anche con la buona perfomance di Civati – viene giudicato negativamente dalla grande maggioranza dell’elettorato del Pd. Sarà interessante adesso vedere le contromosse del premier e soprattutto del grande regista delle larghe intese. Perché per un Berlusconi che è uscito dal governo, da oggi c’è un Renzi che…