Perfino un presidente di Regione, il campano Stefano Caldoro, condivide la provocazione di Feltri e rilancia: le Regioni – dice – “sono un lusso che non possiamo permetterci”. Ergo: iniziamo a “svuotarle” di competenze, tornando allo “spirito della Costituzione” che vedeva come compito principale di questi enti territoriali quello della programmazione e pianificazione, non certo della gestione delle risorse.
Dalla piazza genovese Beppe Grillo arriva ad ipotizzare perfino un referendum per – testuale – “toglierci dai coglioni le Regioni”. Difficile ipotizzare la costituzionalità di un siffatto quesito referendario, un dato comunque è certo: nell’opinione pubblica sta crescendo, dopo gli anni dell’infatuazione federalista, una certa repulsione verso il regionalismo “all’italiana”, fonte di sprechi per eccellenza, con i suoi 180 miliardi di costo sugli 800 complessivi della spesa pubblica.
Da qui, anche da qui bisogna partire per una seria riforma del sistema-Italia, sgombrando finalmente il campo da ogni retorica sul regionalismo e sulle autonomie locali e cercando di mettere una pezza alla pessima riforma del titolo V della Costituzione, voluta una quindicina di anni fa dal centrosinistra, che ha favorito l’aumento delle spese, la duplicazione delle competenze ed il venire meno dei controlli da parte dello Stato.
Ora insomma, anche sulle Regioni, è tempo di iniziare a tirare le somme, politiche e di bilancio, per invertire la tendenza. Di false promesse sulle istituzioni “vicine” ai cittadini non ne possiamo più. Se il metro di giudizio per le istituzioni, locali e nazionali, deve essere l’efficienza, il rigore, la capacità gestionale, è giunto il momento perché ogni retorica venga abbandonata e con essa un modello regionale che non è mai decollato.
Ed allora cominciamo a pensare seriamente di abolire le Regioni, per dare voce ai territori, quelli veri, piuttosto che ai soffocanti apparati burocratici, inefficienti e spendaccioni.