Confronto Pd. Vince lo sfacciato Civati, Cuperlo vivace mentre Renzi vira a sinistra

Le pagelle di Barbadillo sul confronto dei candidati del Pd alle primarie andato in onda ieri nell’arena di “X factor.

Giuseppe Civati: 7

Giovane, carino e sfacciato in tutti i sensi. Pippo Civati sa già che arriverà terzo ai gazebo ma non per questo si rassegna al cliché del Gian Burrasca. Dimostra, ad esempio, di saper far di conto, di parlare (da buon brianzolo) di ceti produttivi e di avere abbastanza chiaro anche il principio di partito maggioritario (rompo le scatole ma qui rimango).  Spigliato, a suo agio col “mezzo” (lo spirito del tempo che non è più televisivo ma sta ormai nei 140 caratteri di Twitter), il battutista del Pd rappresenta l’anima più liberal (all’americana) del partito, a partire dal tema dei matrimoni gay, e quella che più si oppone apertis verbis al Pd versione Dc rappresentato da Letta. Perdente di successo.

Gianni Cuperlo: 6 –

Un miracolo portarlo in tale scenario. Lui ci prova e ne va dato atto: cerca la telecamera, a tratti alza pure la voce. Ma non può farci granché: è sobrio come l’apparato e a tratti sembra un cadetto dell’accademia. Detto ciò sui temi della sinistra classica è imbattibile: dal presidenzialismo (con un uno-due che affossa Renzi)  alla patrimoniale dove ha il coraggio di dire quel “anche i ricchi piangano” che provoca veri brividi di piacere ai suoi fan. Per il resto rimane nel guado quando promuove il governo Letta (quel «ora bisogna cambiare passo» è la versione piddina del «ora avanti con le riforme» tormentone del centrodestra) e sul lavoro dice e non dice. Obamiano nel suo ultimo appello: «Direi a una ragazzo: vieni da questa parte perché è la parte giusta». Provaci ancora Gianni.

Matteo Renzi: 5,5

Era il più nervoso dei tre anche se la tv è casa sua: chiaro, da favorito ha tutto da perdere. Ma che cosa è andato in onda? Secondo Fabrizio Rondolino, giornalista ed opinionista molto attento al rinnovamento gauchista, un Renzi “di sinistra” che – a suo avviso – non serve. Ma Matteo non può fare altrimenti: deve convincere “quelli” – che dovrebbero essere “i suoi” – ad andarlo a votare come segretario del Pd, non come premier “Adesso”. Con questo macigno sulle spalle l’ex rottamatore ha dovuto moderare se stesso e apparire rassicurante a sinistra. Merito? Mercato? Non se parla nemmeno. Anzi Renzi ha attaccato persino le privatizzazioni (ma più per fare uno sgambetto al piano privatizzazioni di Letta…). Insomma, per i renziani ortodossi trattasi di performance deludente. Alla fine Matteo ci mette del suo invocando tutti i nomi immaginari possibili: da «Cara Francesca…» a «l’importanza di chiamarsi Ernesto…» e Maurizio Crozza prende appunti e ringrazia. Lupo in gabbia (nel Pd). 

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Antonio Rapisarda

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