Il racconto. L’estate a l’Havana la Revolucion e la fierezza del popolo cubano

cubaUn vecchio amico, due chiacchiere,“un poquito de ron”, e passerà anche “este verano” (questa estate). In un italiano misto allo spagnolo, quella che ci confida il titolare di una casa particular di Santa Clara sembra quasi una disarmante ricetta della felicità. I ritmi dell’”isola che non c’è” trascorrono lenti, senza gli affanni e le ansie dei nostri tempi, mitigati dal lieve sottofondo della suadente salsa cubana che accompagna una torrida estate che, nella sua soffocante umidità, sembra non passare mai.

Arrivi a L’Avana e hai l’impressione di essere sbalzato d’improvviso nell’Italia degli anni ’50, di vivere in un’altra dimensione, diversa, differente, altra. Per chi proviene dalla società turbo-capitalista occidentale e dalle sue immancabili ossessioni, l’impatto è davvero forte. La capitale ti accoglie con la sua atmosfera bollente e con la sua irrespirabile cappa di smog fuoriuscito dalle improbabili Chevrolet e dalle tantissime ferraglie in movimento che in Italia non supererebbero nessuna revisione automobilistica. A darti il benvenuto gli enormi cartelloni propagandistici che continuamente ripropongono gli slogan del regime o le gesta dei suoi eroi, e sullo sfondo una vegetazione lussureggiante che accompagna il turista nel percorso dall’aeroporto “Jose Martì” fino al centro. Difficile abituarsi, viene da pensare, forse impossibile. Ma poi lo stupore per il nuovo mondo si stempera nei sorrisi, nell’umanità e nell’ospitalità che il popolo cubano dispensa generosamente e senza fatica, convinto che in fondo poi tutto s’aggiusta nonostante le difficoltà, le privazioni e i sacrifici.

Di fronte a scenari e colori così belli il castrismo appare sbiadito sullo sfondo come i cartelloni che lo esaltano e lo inneggiano, schiariti dal sole cocente: il regime lo avverti, lo percepisci, senti che c’è ma loro, i cubani, quasi non ci fanno più caso. A parlarne con chi lo vive tutti i giorni, a intercettarne le sensazioni ed il pensiero più profondo, sembra che gli abitanti dell’isola ne siano insofferenti e impermeabili, forse stanchi di tante privazioni e costrizioni, critici verso la presenza opprimente dello Stato e della famiglia Castro, specie di Raul il cui carisma è poca cosa rispetto al più famoso fratello. Però la Revolucion, che ha reso Cuba nazione indipendente fuori dagli schemi, ha portato con sé un progetto realizzato solo in parte che non può liquidarsi tanto frettolosamente, così come la purezza rivoluzionaria del Che che ha reso i cubani orgogliosi di essere un popolo e di riuscire a camminare senza l’aiuto del colosso statunitense che incombe a pochi chilometri dalle loro coste. Una fierezza ed una dignità figlie dalla povertà, una solidarietà commovente di chi vive una realtà difficile ma cerca di farlo insieme, per concentrare le forze e superare, sempre uniti, gli ostacoli. Tutto è Stato, a Cuba. Una realtà inscindibile, nel bene e nel male, con tante, troppe, contraddizioni che però è ancora in piedi nonostante tutto e si presenta al mondo, l’altro, come qualcosa di differente rispetto al liberal-capitalismo. Non meglio, o peggio. Differente.

E così trascorre l’estate cubana, passando attraverso i colori pastello delle casette basse di Trinidàd e delle sue viuzze di ciottolato, accarezzati dalla timida brezza del tramonto sul lungomare del Malecòn, dove frotte di havaneri di tutte le generazioni si riversano al tramonto per cercare un po’di refrigerio e dove ci si incontra per socializzare e stare insieme, oppure attraverso le note frenetiche della salsa e i corpi danzanti e coreografici percorsi dall’instancabile ritmo della musica. Così trascorre l’estate cubana, senza finire mai.

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Saverio Macchia

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