Pd. L’unica certezza è la data del congresso. Il resto è bagarre su regole statuti e codici

pd1Per il momento si sa solo che dovrebbe essere l’8 dicembre – l’Immacolata – il gran giorno delle primarie del Pd per eleggere il segretario nazionale. Per il resto su regole, statuti, codici, è tutto in mare aperto. Eppure sabato scorso l’Assemblea del partito avrebbe dovuto dipanare ogni dubbio per permettere ai democratici quella strutturazione necessaria per il dopo Bersani. E invece è andato di scena il caos, tutt’altro che “calmo”, per dirla con Nanni Moretti. Ma andiamo con ordine.

Da una parte il trio che animerà le primarie – Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati –, dall’altra un fronte composito, laburocrazia del partito, nella quale vengono indicati i “mandanti” del nulla di fatto registrato all’Auditorium della Conciliazione:Dario Franceschini, Pierluigi Bersani e d Enrico Letta stesso. Questi i due schieramenti che, dal giorno dopo, se ne dicono di tutti i colori rispetto al flop avvenuto sabato. L’Assemblea nazionale che avrebbe dovuto dare il via al congresso del Pd si è conclusa infatti con un rinvio delle decisioni fondamentali (per mancanza di una maggioranza qualificata) alla Direzione di venerdì e con un vortice di accuse che non accenna a finire.

Al centro i timori legati all’arrivo (più che probabile) di Matteo Renzi alla guida del Pd. Carica, quella di segretario, che da statuto determina in automatico anche l’investitura a candidato premier per il Pd. Di fatto – secondo molti – ciò provocherebbe uno scossone per il governo guidato da Enrico Letta, che si troverebbe così nella scomoda posizione di “bersaglio” degli strali di un segretario che si sente già in piena campagna elettorale.

Ma non è solo Renzi a chiedere congresso e primarie il prima possibile. Anche gli altri due sfidanti – il candidato dell’ex correntone Cuperlo e il radical Civati – premono affinché il Pd esca dalla transizione e rientri nell’agone della battaglia politica. Quest’inedito asse tra aspiranti segretari deve fare i conti, però, con i meccanismi di un apparato che guarda con apprensione le mosse dei nuovi interpreti del Pd e che, soprattutto, intende non escludere Enrico Letta dalla battaglia per la premiership. Di qui la contesa sui tempi, il cui “allungamento” – con conseguente conflitto di interessi in vista di elezioni Europee e semestre italiano all’Ue – potrebbe significare un’assicurazione di lunga durata per il premier in carica.

Ecco perché ogni bizantismo, ogni espediente frenante, viene considerato una mossa di Bersani e soci per depotenziare il rottamatore e, in parallelo, tutti coloro che intendono riformare il Pd a sinistra. Ovviamente le accuse vengono smentite dagli staff dei diretti interessati che, da parte loro, invitano Renzi a non attaccare strumentalmente il premier. Tutto, insomma, è rinviato alla Direzione di venerdì: appuntamento decisivo o ennesima figuraccia?

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