Il libro. Scianca: “Ecco perché Ezra Pound fa surf (e ci salva dalla crisi)”

"Ezra Pound" American PoetEzra Pound ci salverà dalla crisi. Non solo, dunque, le intuizioni del grande poeta americano sulla moneta si sono categoricamente avverate. Ma anche le soluzioni, perché, da Latouche a Geminello Alvi, c’è molto Pound in ciascuna delle tesi differenti per combattere la crisi e la speculazione dei mercati. Con questa tesi Adriano Scianca – saggista e collaboratore di Barbadillo – presenta il suo nuovo libro dedicato alla figura (Ezra fa surf, edizioni Zero91, €15) ma soprattutto all’attualità del grande poeta americano.

Cominciamo dal titolo: perché “Ezra fa surf”?

Il titolo del mio libro va inserirsi in un ovvio gioco di rimandi testuali che parte dalla celebre frase del tenente colonnello William Kilgore in Apocalypse Now (“Charlie don’t surf!”) e attraversa la cultura popolare attraverso l’uso che di questa citazione hanno fatto gruppi musicali (dai Clash ai Baustelle) o artisti come Maurizio Cattelan.

Spiegati meglio…

Nel film, Kilgore è il classico yankee ottuso, che crede di ricreare il suo microcosmo da campus americano a due passi dal fronte vietnamita. Pur sotto il fuoco nemico, la sua preoccupazione principale resta il surf mentre di Charlie, ovvero dei Vietcong, nel linguaggio in codice statunitense, non bisogna preoccuparsi, perché Charlie non fa surf, è uno sfigato. Kilgore è l’anti-Pound: è militarista laddove Pound critica il sistema che “crea le guerre in serie”, è chiuso nella sua subcultura laddove Pound è affascinato dalle altre culture. Da qui l’idea di un détournement che riprendesse quell’espressione e le cambiasse del tutto significato, con un effetto spaesante che, a giudicare dalle prime reazioni sentite in giro, ha già avuto luogo. Oggi i Charlie sono i custodi del politicamente corretto, grigi e sfigati, mentre Pound fa surf perché è più fresco, libero, originale, rivoluzionario di tutti gli scribacchini alla moda. Del resto, a cominciare dalla “navigazione” in internet, il mondo contemporaneo non spiega forse se stesso utilizzando metafore marittime? Ecco, surfare sulle contraddizioni del presente ha un po’ il senso del “cavalcare la tigre” evoliano, essere nella modernità ma lottare per un’altra modernità.

Partire da riferimenti così pop (cinema, musica…) non comporta il rischio di una banalizzazione?

Un intero capitolo del libro affronta proprio il rapporto del poeta con la cultura di massa. Pound si divertiva con Elvis e apprezzava i film Disney. Egli stesso, quindi, non aveva di questi tabù e disprezzava la cultura elitaria che per parlare di presunte “cose alte” si rifugia nell’astrusità, rinunciando quindi al necessario compito educativo dell’artista. L’offesa più grave che potesse rivolgere a qualcuno era “snob”. Se qualcuno crede che io banalizzi dovrebbe rivolgere la stessa accusa a Pound.

Prima hai parlato del “sistema che crea le guerre in serie”. Un argomento piuttosto attuale visto il caos siriano…

Certo. L’analisi poundiana delle guerre del suo tempo, viste come una manifestazione del dominio dell’usura destinato a distruggere ogni ordine per interesse, vale anche per i conflitti di oggi. Tutta la parte finale di “Ezra fa surf” riguarda il suo essere l’anti-Fallaci, il migliore antidoto contro lo scontro di civiltà. Attenzione, però: Pound non era un pacifista tout court e nel libro cerco di spiegare questa distinzione.

Un ulteriore elemento di attualità è quello relativo alla critica economica. La crisi ha dato ragione a Pound?

Non solo gli ha dato ragione, ma ha dato torto a tutti gli altri, ai liberali come ai marxisti. Io, tuttavia, ho cercato di svecchiare un po’ anche questo aspetto, evitando di incartarmi con denunce moralistiche e complottismi assortiti. Pound non è il capostipite degli svitati cospirazionisti di internet ma è l’anticipatore di battaglie come quella contro il precariato, il conflitto di interessi, persino quella contro la riscossione selvaggia di enti come Equitalia o chi per essa.

Sul rapporto fra Pound e il fascismo si sono dette molte cose. Si è parlato di ingenuità, illusione, di un’adesione in fondo superficiale…

Basterebbe far parlare i fatti, che sono chiarissimi. Di nessuno che avesse avuto i rapporti col fascismo che ha avuto Pound si metterebbe in discussione la fede politica. Solo che Pound non è uno qualsiasi, è il più grande poeta del Novecento. Bisognava allora “salvarlo” dalle sue stesse scelte, peraltro chiarissime, per salvare in realtà l’intera cultura moderna, che non poteva certo sporcarsi con la bestia immonda. Questi, in realtà, sono psicodrammi da portinaie della cultura. Si enfatizzano gli stupidi commenti con cui qualche burocrate della segreteria del Duce liquidava i testi poundiani, come se la cosa potesse avere lo stesso peso dei tredici anni di manicomio criminale che al poeta inflissero i democratici. Ma di che stiamo parlando?

Il libro è anche una risposta alle polemiche di Mary de Rachewiltz contro l’uso del nome del padre da parte di CasaPound?

Durante tutta la sua vita Pound non ha cessato di ripetere che le guerre nascono perché qualcuno ha interesse a intorbidire la comunicazione, a disturbare la comprensione. Questa “guerra” giudiziaria non fa eccezione. Bisogna sgombrare i canali che impediscono il chiarimento e spero che questo libro possa fornire un contributo in tal senso.

Per chiudere: dove, come e per chi uscirà il libro?

Il libro esce per Zero91 e si può trovare in tutte le librerie, militanti e non. Sabato 14 verrà presentato, insieme a Giulio Giorello, alla quattro giorni di CasaPound Italia, a Revine Lago, in provincia di Treviso, mentre a partire dal 19 settembre sarà disponibile in libreria.

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