Aspide. “Seidmadur, lo sciamano”, emozioni black metal

Nel racconto l’eternità non è affatto una bestemmia, anzi, piuttosto uno dei canti dello sciamanesimo boreale

“Seidmadur, lo sciamano” (ottobre 2023, 16 euro) di Maddalena Marcarini, prima uscita della collana dedicata alla narrativa contemporanea “BizarreOFF” di Alcatraz Edizioni, potrebbe certamente, almeno a una lettura superficiale, essere ricondotto a quel revival del folklore nordico che sta impazzando nel cinema e nel mondo delle serie tv da qualche anno a questa parte – si pensi all’acclamato folk horror “Midsommar”, ma anche alle serie “Vikings” e “Ragnarok”, solo per fare qualche esempio.

Al contempo, la livida e lunare ambientazione islandese, il genere letterario ibrido (una sorta di thriller/noir esoterico con sfumature horror) e lo stile nitido e quasi “acido”, fanno pensare a “The Crow” e al black metal scandinavo degli anni ’90.

Il romanzo in questione però non è soltanto un prodotto godibile e d’impatto, come lo sono alcuni dei titoli citati. “Seidmadur” ha molteplici livelli di lettura: il più immediato, quello del romanzo noir, che spinge ad arrivare in velocità all’ultima pagina per vedere “come va a finire” la storia della tormentata protagonista, che dà vita a un vero e proprio romanzo di formazione, e poi quello della “messa in scena”, per il tramite di una storia (d’altra parte non è forse questo l’espediente più antico del mondo per trasmettere gli insegnamenti sapienziali?), del caleidoscopico mondo dello sciamanesimo e della mitologia nordica, la cui conoscenza da parte dell’autrice è, al contrario di quella degli showrunner di Netflix, tutt’altro che raffazzonata.

Ma c’è ancora dell’altro: se per l’appartenenza al filone del realismo magico contemporaneo, per il sottotesto esoterico e per la forma giovane e incalzante il romanzo di Maddalena Marcarini ricorda un po’ “Il libro dei fulmini” di Matteo Trevisani (2017, Atlantide Edizioni), laddove però, più che “ricorda”, il termine appropriato sarebbe “evoca specularmente”, perché tanto quest’ultimo è mediterraneo, virile, elettrico, tanto “Seidmadur” è invece nordico, femminile, acquatile, per altri versi, e proprio legati a questa triade di aggettivi, “Seidmadur” gronda di spunti lato sensu psicanalitici mitteleuropei. Non pare un caso che la protagonista, Erlen, tormentata da mille angosce e in primis da un rapporto conflittuale con sua madre, all’inizio del libro tenti il suicidio immergendosi nell’oceano Atlantico; nell’acqua, dunque, quella stessa acqua che, nelle ultime pagine del libro, attorno a lei “si contrae e si espande come un unico, immenso, antichissimo cuore” e che per Freud rimanda al grembo materno e al desiderio di ritornarvi, mentre per Jung richiama il panorama dell’inconscio collettivo.

La madre di Erlen è, agli occhi di sua figlia bambina e, di riflesso, anche a quelli di chi legge, spesso cullato e anestetizzato dalla rassicurante razionalità della scienza, una sorta di bizzarra “strega”, alle volte inquietante e alle volte solo un po’ picchiatella: una di quelle donne che, come la Lolly Willowes di Sylvia Townsend Warner e le Jenny Flowers e Ma’ Beadle di “Lucifero e la Bambina”, per la loro eccentricità e le loro inclinazioni atipiche sono ridicolizzate e a stento tollerate – ah, le balsamiche conquiste della (post)modernità! -, quando non direttamente perseguitate, dalla società che le circonda.

E se questo conflitto ancestrale, tutto al femminile e proprio per questo nient’affatto zuccheroso ma, al contrario, spaventosamente crudo – come sappiamo essere il materno, da Medea in poi -, in un’autrice come Tiffany McDaniel prende una piega quasi nicciana, assolutamente moderna, che reca in sé, più o meno consapevolmente, tutta la tragicità della “morte di Dio” (“Ma cos’è l’eternità se non un’intricata bestemmia?”, arriverà a dire la protagonista de “Il caos da cui veniamo”, sempre Atlantide Edizioni), in “Seidmadur” l’eternità non è affatto una bestemmia, anzi, piuttosto uno dei canti dello sciamanesimo boreale raccolti di recente da Alessandra Orlandini Carcreff per Lindau.

Laddove le verità della Bitty Lazarus de “Il caos da cui veniamo” sono sempre due, “essere perduta e trovata, e possono accapigliarsi per l’eternità”, come comanda, insieme a ragione e a torto, il relativismo etico ormai imperante, e quella della protagonista, anche lei vagabonda in Islanda, del “Donna vuol dire natura selvaggia” di Abi Andrews è una verità sostanzialmente egocentrica e progressista, come in un remake femminile – o femminista? – di “Into the Wild”, un canto lappone rivolto all’aurora boreale dice, oracolarmente: “Credi all’ordine preciso; l’aurora è una verità”.

E questo canto tradizionale, potente, che sgorga dal petto, inizia in sordina e finisce per rimbombare come campane a martello, è il canto di Erlen, e di chiunque altro voglia sentirlo.

*Seidmadur, lo sciamano” (ottobre 2023, 16 euro) di Maddalena Marcarini

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Camilla Scarpa

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