Acca Larentia, la frammentazione mediatica e la ricerca della verità sulla strage

La potenza evocativa e suggestiva dei rituali e dei simboli costituisce da sempre parte integrante del repertorio della competizione politica; enfatizzarla a dismisura, sopravvalutarne contenuti e significati può produrre effetti distorsivi che rischiano, talvolta, di far perdere aderenza con la realtà

Manifesti di Acca Larentia della “Comunità”

La potenza evocativa e suggestiva dei rituali e dei simboli costituisce da sempre parte integrante del repertorio della competizione politica; enfatizzarla a dismisura, sopravvalutarne contenuti e significati può produrre effetti distorsivi che rischiano, talvolta, di far perdere aderenza con la realtà.

Nelle scorse settimane ha suscitato polemiche il raduno di alcune centinaia di militanti di destra radicale in occasione dell’anniversario della strage di Acca Larentia. Focalizzando l’attenzione sul compimento di un rituale che richiama una liturgia – discutibile o meno – che risale al novecento, la maggior parte dei mass media ha riproposto le questioni relative alla configurabilità dei reati di apologia e di ricostituzione del partito fascista, inclusa la tematica riguardante l’effettiva pericolosità di organizzazioni spesso ritenute pronte, oltre che realmente intenzionate, al perseguimento del fine di compromettere la tenuta delle istituzioni democratiche e parlamentari.

Sotto il profilo strettamente politico si è attivato un fenomeno ricorrente nel panorama nazionale: lo spauracchio di forme di autoritarismo riconducibili a quelle del ventennio, ovverosia di vere e proprie cortine fumogene funzionali alla condotta di formazioni partitiche che, poggiando sulle basi della sempre-verde frontiera antifascista, perseguono la ricerca spasmodica di un’identità oppure il recupero di quella dei fasti ormai sbiaditi di un tempo.

Appare, in altri termini, condivisibile l’impressione di coloro i quali ritengono che buona parte del pubblico, lasciandosi influenzare dalle modalità con cui vengono confezionate e veicolate le informazioni, sia stato più o meno consapevolmente indirizzato nel processo di formazione delle opinioni sulla scorta degli effetti di framing, distogliendo così l’attenzione dalla vera materia del contendere.

La cronica indisponibilità ad affrontare in maniera costruttiva e razionale una stagione tormentata come quella degli anni di piombo e a stimolare un confronto proficuo, incentrato sui minimi comuni denominatori del riconoscimento di responsabilità diffuse e dell’esigenza di ricostruire – non certo a scopi vendicativi, perché vittime e carnefici militarono, come è noto, da entrambe le parti – verità giudiziarie lacunose o del tutto assenti, emerge chiaramente da alcuni frammenti di cronaca che hanno rievocato, in via incidentale e superficiale, l’orrenda storia che si consumò davanti a una sezione missina della periferia romana del Tuscolano.

Non sono mancati, infatti, fantasiosi richiami a processi mai svolti oppure narrazioni che hanno ripreso con formule dubitative una battuta di pessimo gusto (“I fascisti hanno perso una Ciavatta”, il cognome di uno dei militanti uccisi), realmente pronunciata dai microfoni di Radio Città futura al punto da indurre il padre del ragazzo a suicidarsi con l’acido muriatico a pochi mesi di distanza dai fatti.

Voci isolate e ben più documentate hanno ricordato che l’azione del 7 gennaio 1978 venne condannata dalle Brigate rosse, non certo per senso di pietà ma perché rivolta contro un obiettivo del tutto marginale anziché al “cuore dello Stato”, com’era prassi sentire negli slogan farneticanti dell’epoca.

Alla luce di un lungo e ammirevole lavoro di ricerca svolto dall’avvocato Valerio Cutonilli presso gli archivi storici del Tribunale di Roma, la strage di Acca Larentia maturò verosimilmente nel contesto “magmatico” e mobile di ambienti dell’autonomia provenienti dall’ormai disciolto Potere operaio e gravitanti nella zona di Roma sud.

Le nubi

Elementi gravi ed inquietanti, finiti nel dimenticatoio della prescrizione e oscuri – tipica anomalia italiana – a gran parte dell’opinione pubblica, come le vicende della pistola-mitragliatrice Skorpion, della strana catena dei suoi passaggi di proprietà da un noto cantante – estraneo alla galassia della lotta armata – a un commissario di Polizia, a mani ignote del terrorismo di sinistra…fino alla sua misteriosa ricomparsa negli omicidi Tarantelli, Conti e Ruffilli, avrebbero potuto e dovuto incentivare più di un’attenta riflessione e attirare la curiosità, varcando i confini di un interessante convegno coperto a livello mediatico soltanto da Radio radicale e da qualche quotidiano.

No alle spirali di odio

Gridare al fascismo a ogni piè sospinto è ormai diventata una radicata abitudine, non di rado orientata a procrastinare all’infinito la cicatrizzazione di ferite proprie della violenza politica degli anni settanta e a rendere impraticabile la faticosa strada verso la pacificazione. Alimentare rancori mai del tutto sopiti e generare ulteriori spirali d’odio sono i presupposti fondamentali per impedire alla nazione di fare definitivamente i conti con un doloroso passato recente.

Andrea Scarano

Andrea Scarano su Barbadillo.it

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