Aspide. I cospiratori e la Lisbona mediterranea di Frederic Prokosch

Un caleidoscopio abbacinante di luci, giacche da smoking in seta, bicchieri di cristallo, garofani rossi e paillettes, ma anche uno scintillio di armi e di quei trenta denari che frutta il tradimento

I cospiratori di Frederic Prokosch

Frederic Prokosch

“Was it me that shot him down in the Cantina,

Was it my hand that held the gun?

Come let us fly, my Magdalena,

The dogs are barking and what’s done it’s done…”

“Romance in Durango”, Bob Dylan, da “Desire”, 1976.

Se Raoul Maria de Gomera chiude la sua postfazione a “I cospiratori” di Frederic Prokosch (Settecolori Edizioni, Milano, 26 euro) sulla nota – o meglio, sulle spagnoleggianti note folkdi “Sara” di Bob Dylan, nella quale si menziona esplicitamente lo scenario, protagonista al pari dei protagonisti in carne e ossa, su cui si svolge l’azione del romanzo in questione, non ci sembra qui fuori luogo esordire con una citazione da un brano contenutoanch’esso in “Desire” di Dylan, “Romance in Durango” (tra l’altro oggetto di una gigioneggiante cover della PFM), che restituisce con altrettanta chiarezza un’idea del gesto – estremo, è proprio il caso di dirlo – attorno al quale si sviluppa l’intera narrazione.

Senza voler anticipare più di quanto si sia già detto riguardo alla trama, il genere de “I cospiratori”, come peraltro suggerisce il titolo stesso, è quello del romanzo d’azione e di spionaggio di stampo britannico, alla Ian Fleming o alla Eric Ambler, per intenderci, con qualche battuta fulminante prettamente americanaalla Raymond Chandler, o, piuttosto, nello stile di John Fante nelsuo splendido Ask the dust. E però la penna di Prokosch, pur indugiando in dialoghi perfettamente cinematografici (primo fra tutti quello fra Irina e Hugo in camera da letto, che pare già concepito con tanto di illuminazione e inquadrature) e in rappresentazioni quasi pittoriche dei paesaggi dell’amata Lisbona, riesce a librarsi al di sopra della superficialità frizzante e patinatama un po’ vacua che è spesso propria del genere spystory grazie aun’iniezione di decadentismo vitalistico assolutamente europeo(ossimoro forse azzardato, ma assai adatto a definire Vincent, il protagonista appena evaso dal carcere, “fondamentalista riluttante”, come lo definirebbe Mohsin Ahmid), che finisce per ricordare un po’ il Drieu minore de “L’uomo a cavallo” e un po’ alcuni romanzi di Arturo Pérez-Reverte, primo fra tutti “L’italiano”.

La trasposizione cinematografica

Viste le premesse, non stupisce affatto né che da “I cospiratori” sia stato prontamente (nel 1944) tratto un film – anzi, più che un film un vero e proprio blockbuster prodotto dalla Warner Bros ediretto da Jean Negulesco (purtroppo oscurato nella popolarità da “Casablanca”, più marcatamente antinazista e, forse, meno “opaco” nella caratterizzazione dei personaggi), e neppure che Prokosch, apostrofato da Emerald Cunard come “un bel giovane a cui tutti vogliamo bene per questo, non per la tua intelligenza o la tua sensibilità artistica” e definito da Gore Vidal “più simile a un pirata che a uno scrittore, che giocava a tennis, a squash ma non aveva mai giocato negli intrighi letterari”, abbia faticato parecchio per emergere nella giungla dei “letterati di professione”, nonostante la sua penna vivace e tagliente, capace di incidere su carta, come tatuaggi sulla pelle, verità assolute travestite da boutade pronunciate da dandy annoiati a beneficio di lettori sovrastimolati, come per dar vita a un bunuelianofascino discreto della borghesia” ante litteram. Un caleidoscopio abbacinante di luci, giacche da smoking in seta, bicchieri di cristallo, garofani rossi e paillettes, ma anche uno scintillio di armi e di quei trenta denari che frutta il tradimento, quello di Prokosch, al termine del quale il lettore, all’unisono con Vincent, ormai svuotato di ogni energia, dirà: “Desidero oscurità, e sollievo”.

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Camilla Scarpa

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