Diamanti: “La rivista identitaria AppenniniWeb tra monti patria e anima”

L'iniziativa editoriale parte "nei mesi tra il terremoto di Amatrice e quello di Norcia, nel 2016. E in qualche modo è stata proprio la “scossa” del terremoto a farmi capire che la distruzione delle case, delle opere d’arte, dei luoghi di culto in Appennino non è mai definitiva"

La rivista Appenniniweb.it

Gian Luca Diamanti, giornalista e scrittorem fondatore di Appenniniweb.it, come nasce questo spazio anticonformista tra tradizione, studi e montagna?

Appenniniweb.it, come sito web dedicato ai reportage e alle riflessioni sull’Appennino, nasce nei mesi tra il terremoto di Amatrice e quello di Norcia, nel 2016. E in qualche modo è stata proprio la “scossa” del terremoto a farmi capire che la distruzione delle case, delle opere d’arte, dei luoghi di culto in Appennino non è mai definitiva. Che occorre accettare la forza creatrice e distruttrice della natura e conviverci; che l’anima dei luoghi nasce e si affina attraverso una percezione più o meno consapevole della bellezza e dalla potenza numinosa delle nostre montagne”.

Lo spirito delle vette…

“Quest’anima, se ben coltivata e rispettata, non crolla mai ed è sempre lì, se hai voglia di ascoltarla, per aiutarti a costruire e a ricostruire, come è già accaduto tante volte. Ma siccome di terremoti in Appennino ce ne sono stati molti – e non mi riferisco solo a quelli registrati dai sismografi ma anche a quelli di carattere economico e sociale – abbiamo pensato di estendere questa ricerca sull’anima dei luoghi e delle comunità d’Appennino in altre aree interne, al Nord e al Sud di questa lunga catena, dove spesso spopolamento e rassegnazione convivono con il grande slancio vitale dei pochi che restano, che tornano o che fanno una scelta di vita ben precisa”. 

Gian Luca Diamanti

A che pubblico si rivolge? 

Appenniniweb.it non è un sito commerciale e tantomeno un sito web di turismo. Prova invece ad essere, nel suo piccolo, una scintilla per riaccendere i valori appenninici nell’anima di tutti coloro – e sono tanti – che si sono allontanati dalle montagne, magari da generazioni, per vivere altre vite, ma che si portano dentro, forse nel patrimonio genetico, ancora un po’ di sensibilità verso la natura, il mondo rurale, il ciclo delle stagioni, l’essenzialità, la comunità, il sacro, gli spazi aperti, la libertà. Come disse una volta il presidente del Censis Giuseppe De Rita: “Se si salva l’Appennino si salva l’Italia”. Un programma impegnativo, molto in salita, ma stimolante”.

I tesori dell’Appennino?

“L’Appennino, l’abbiamo scritto molte volte, era e resta una straordinaria miniera di senso. Tra queste montagne è nata gran parte della nostra cultura come italiani e della nostra visione del sacro. Qui è nata perfino una prima idea d’“Italia”, è nato il suo nome associato a quello di una nazione o di una confederazione, a Corfinio, vicino a Sulmona, con i Sanniti e i loro alleati, come mi ricorda sempre l’amico giornalista e scrittore Nicola Mastronardi. Per questo Appenniniweb.it si rivolge soprattutto a chi ancora crede che l’Appennino sia la nostra vera patria, una patria in salita certo; a chi crede, in definitiva, che le cosiddette aree interne coincidano spesso con le nostre aree interiori, entrambe da riabitare, a piccoli passi e con grandi sforzi materiali e ideali”.

Quali i riferimenti culturali che muovono alla scoperta o riscoperta della montagna e degli Appennini? 

Penso che in questa fase l’Appennino abbia bisogno di tante cose: progettualità, normative specifiche, finanziamenti speciali, detassazione, semplificazione amministrativa, servizi innovativi e tradizionali ma che, soprattutto, abbia bisogno di essere non solo raccontato, ma cantato con il cuore. Ci vorrebbe una bella ballata d’Appennino per sentirci di nuovo uniti in questa lunga patria-verticale, dove le differenze tra Nord e Sud sfumano come i contorni delle montagne in lontananza”.

Ci sono poi reminiscenze letterarie e musicali.

“Per questo in Appenniniweb.it trovano spesso spazio le citazioni di canzoni e poesie, come quelle di Giovanni Lindo Ferretti “barbarico e appenninico”, ma anche del Guccini montanaro, dell’irpino Vinicio Capossela, di poeti come l’ancor poco conosciuto ma bravissimo Carmine Valentino Mosesso, un giovane molisano che fa il pastore, scrive versi importanti e profondi e s’impegna per il suo paese; o come l’irlandese Seamus Heaney con la sua attenzione al senso dei luoghi. Per quel che riguarda i valori comunitari che andrebbero ricostruiti non solo in Appennino nel confronto con la tradizione e la modernità, la “cassetta degli attrezzi” resta quella delle opere di Alain de Benoist, ma anche di Adriano Olivetti, così come per l’antropologia e l’etnologia non potremmo fare a meno delle ricerche di un maestro come il nostro Mario Polia, che vive nel cuore dell’Appennino, a Leonessa in Sabina, ma anche di altri maestri, con punti di vista diversi, come Vito Teti cantore della “restanza”, o Ernesto De Martino con le sue ricerche sul Meridione e la sua “fame di simboli”. Altrettanto fondamentale è l’indagine sulle origini del sacro tra le nostre montagne per la quale un timone irrinunciabile è senz’altro l’opera sugli dèi italici di Renato Del Ponte, così come l’importante e recente lavoro di Alessandro Giuli che ha trovato spazio in Rai con “Vitalia”. Negli ultimi tempi abbiamo scoperto la profondità delle intuizioni di Giovanni Sessa sulla dynamis della natura e proviamo a calarle – con tutti i nostri limiti – nell’analisi dell’anima appenninica”.

Quale il reportage più complesso da realizzare? 

Non ci sono reportage facili o difficili, quando si gira in Appennino. L’importante è ascoltare la voce dei luoghi e delle persone che li abitano e raccoglierne il racconto, anche se per capire realmente l’anima di un luogo non basta abitarci per una vita. Quel che è difficile, almeno per ciò che ho riscontrato, è superare il muro di scetticismo e di negatività che caratterizza spesso chi ancora vive in Appennino. Però se capiscono che stai cercando qualcosa di più profondo, per certi versi di inusuale, si passa ad un altro livello e spesso a quelle stesse persone brillano gli occhi come ai bambini. Forse perché ricordano che questi posti così difficili e complicati, in apparenza anche disprezzati, qualche volta nella loro vite gli hanno parlato al cuore, ma magari si vergognano un po’ ad ammetterlo…”

Chi sono gli interpreti di questa sensibilità che porta a studiare e approfondire la relazione tra uomo e montagna? 

Gli interpreti sono le persone che incontro ogni giorno girando in Appennino lontano o vicino a dove vivo, in Umbria…che è anche una regione di montagne, non solo di colline e di olivi. La cosa più bella per la quale devo ringraziare Appenniniweb.it, è di avermi consentito di entrare in una rete di contatti, in alcuni casi di vere amicizie, con molte persone che condividono l’amore per l’Appennino e il suo essere catena di libertà. Potrei nominarne tante dal Nord al Sud: dai ragazzi dei “metati” di Sassalbo, ai giovani che tornano nelle comunità arberesch sotto al Pollino in Calabria, dai nuovi amici di Villamaina nella verde Irpinia dove  si sente forte la presenza della dea Mefite, fino ai vecchi amici abruzzesi, molisani, nella splendida Agnone, ai ragazzi della Filibusta Pontina ai quali dovremo unirci prima o poi nelle loro meravigliose escursioni sui monti Lepini e soprattutto al fratello d’Appennino marchigiano Maurizio Serafini, musicista, camminatore, scrittore, giramondo, inventore del Montelago Celtic Festival con la sua banda di sodali, una delle persone più libere che abitino oggi il nostro Appennino, quasi un Tom Bombadil di Macerata. Ecco, forse l’Appennino di oggi è spopolato, ma dovunque vada, specie sopra una certa quota, mi sento a casa”.

Ogni articolo è corredato da fotografie particolari…

Non credo, perché poi le foto non sono affatto un granché. Piuttosto, insieme ad altri amici, vorremmo far evolvere Appenniniweb.it in qualcosa di diverso, magari in una serie di video, o di podcast. O forse in una pubblicazione, vedremo”.

Tre tappe imperdibili (o suggerimenti) per “meditare sulle vette”?

Se intendi tre luoghi magici, o aureati come diceva Elémire Zolla, la selezione non è facile, ed è anche molto personale. Parto da casa, in Umbria, da montagne davvero poco conosciute ma a me carissime: i Monti Martani, tra Terni, Spoleto e Foligno. In cima al monte dell’Ara Maior, oggi Torre Maggiore, ci sono i resti di un tempio italico umbro-sabino d’altura a 1100 metri dove, aggiungerei per fortuna, non sale quasi nessuno. Qui c’è una vista a 360 gradi che abbraccia tutti i massicci del Centro Italia; qui si consumavano riti antichissimi tra terra e cielo; tuttora è un luogo dove salire per assottigliare il proprio io. L’intera montagna è piena di meraviglie: grotte, resti archeologici e l’eremo francescano più autentico dell’Umbria, la Romita di Cesi. 

Il santuario italico di Pietrabbondante

L’altra tappa è in Molise, dove puoi vivere il piacevole paradosso dei paesaggi più ampi d’Italia nella regione più piccola. Il consiglio è camminare lungo i tratturi, dove transitavano annualmente milioni di capi e migliaia di pastori tra l’Appennino centrale e la Puglia, per poi godersi il panorama dal teatro e dal tempio di Pietrabbondante, il centro politico e religioso della nazione sannitica che contese la potenza di Roma nel nome dei popoli dell’Appennino. Infine un’altra cima, quella del monte Vettore, la vetta più alta dei Sibillini a dominare quello che Mario Polia ha definito il “paradiso del diavolo” con i misteriosi laghi di Pilato e il Pian Grande di Castelluccio, “piccolo Tibet d’Italia” secondo Paolo Rumiz, ombelico sacro dei nostri Appennini, dove arrivare preferibilmente a piedi, come facevano le nostre nonne e bisnonne che salivano dalla Valnerina per la raccolta estiva delle lenticchie”.

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Gerardo Adami

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