Topor e la favola noir della principessa che voleva il reddito di cittadinanza

Il romanzo è una fiaba del folklore popolare nordico o russo, piena di violenza e di elementi surreali e crudi

La principessa Angina di Topor

Se di solito i lettori, e specialmente quelli “forti”, procedono, più o meno consciamente, per assonanze letterarie, “La principessa Angina” di Roland Topor, meritoriamente edito l’anno scorso da Cliquot Edizioni, li disorienterà, perchè è un libro che non assomiglia a niente. E però questo è un disorientamento potenzialmente fecondo, quantomeno per chi lo sappia abbracciare: a ben pensarci, infatti, non è forse l’unicità, tanto più se non perseguita strategicamente ma raggiunta spontaneamente, una delle caratteristiche più pregevoli dell’espressione artistica (nonché delle scelte editoriali, oramai tanto appiattite su uno standard di mediocrità)?

Sforzandosi un poco per attribuire un genere letterario alla “Principessa Angina”, si potrebbe definirla una fiaba, ma non certo una fiaba edulcorata e censurata di quelle della Disney, a cui gli ultimi decenni ci hanno abituati; piuttosto una fiaba più vicina a quelle del folklore popolare nordico o russo, fiabe noir, piene di violenza, di elementi surreali e crudi, che, ben lungi dallo sconvolgere i bambini, li preparano ad affrontare quella che sarà la realtà, per nulla rose e fiori. 

Oltre alla stessa principessa Angina, che serafica, verso la fine del libro, afferma che “Bisogna saper sopportare la verità, a piccole dosi non ci uccide ma ci fortifica”, su questa linea interpretativa “tradizionalista” convergeranno, negli anni ’70 del ‘900, tanto Bruno Bettelheim, nel suo saggio ormai di culto “Il mondo incantato”, quanto John Holt, con il suo “Escape from childhood”. E se l’approccio del primo è teorico, tipico dello psicanalista mitteleuropeo, il secondo invece, da bravo americano pragmatico, si concentra su qualcosa di più concreto. Scrive:

“Gran parte di ciò a cui ci riferiamo come ‘carino’ nei bambini non è forza o virtù, reale o immaginaria, ma debolezza, una qualità che ci dà potere su di loro o ci aiuta a sentirci superiori. Pensiamo che siano carini in parte perché sono piccoli. Ma cosa c’è di carino nell’essere piccoli? I nani sono carini? Niente affatto; riconosciamo che la piccolezza di un nano è un’afflizione e un peso. I bambini lo capiscono molto bene. Non sono affatto sentimentali riguardo alla loro piccolezza”.

E Topor, quel bizzarro illustratore surrealista cinefilo (da un suo racconto Polanski trarrà ispirazione per “L’inquilino del terzo piano”, e Maurizio Nichetti lo vorrà per recitare la parte del boss in “Ratataplan”), vicino a Jodorowsky e al Mouvement Panique, questa cosa l’aveva intuita distintamente, tanto che la principessa protagonista della favola si lamenta così, con chirurgica precisione, della propria misera condizione: 

“Certo, sono ancora fresca, e le mie unghie dei piedi non fanno orrore come quelle delle pin-up, ma già così mi restano poche illusioni. È solo che sono costretta a fingere. Altrimenti nessuno si occuperebbe di me, e io da sola non sono in grado di sopravvivere. Se esistesse una pensione per i bambini, come quella dei vecchi, mi ritirerei in un quartierino di periferia e smetterei di farmi passare per un’idiota!”.

C’è da dire che anche le condizioni degli altri personaggi del libro, adulti o adolescenti che siano, non sono propriamente invidiabili: il consigliere della principessa dal nome cardiopatico è un beone il cui dessert è costituito da “una bottiglia di vino rosso ben zuccherato”, i cattivi, i fratelli Barba (evidente riferimento a Barbablù), sono “su un altro livello [di cattiveria]” perché “sono stati loro a organizzare e diffondere l’uso del credito”, il marito di Coffee “è senza cuore e ha troppo cervello”, e Jonathan, il giovane pretendente della principessa “in modo subdolo fa di tutto per rendersi indispensabile. Fa la parte dell’eroe!”, a cui la cosa però “Non capita così spesso, eh?”.  

Ma forse l’unico vero insegnamento da cogliere, che riguarda tanto noi stessi quanto la realtà che ci circonda, è quello che risiede nelle risposte di Jonathan quando la principessa gli domanda “Lei è Puro?”, e lui risponde “Sono più complicato di quanto sembra”, e poi “È un ribelle?”, e lui: “Sì, purtroppo, ogni volta che non sono felice”. 

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Camilla Scarpa

Camilla Scarpa su Barbadillo.it

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