Aspide. Alla scoperta di “Casa come me” di Carlos D’Ercole

L'autore guida noi lettori, ammirati e stupefatti, nelle dimore di pittori, registi, fotografi, musicisti e perfino di un gallerista

A Massimo, “fantasista di case”, a cui questo libro sarebbe piaciuto tanto,

Ma non ho fatto in tempo a regalarglielo.

Non è un caso che nel 2022, in coda a tre anni di pandemia, alcuni tra i più eclettici intellettuali italiani abbiano dedicato un volume, un pensiero, uno studio al tema della casa.  Mi riferisco al “Muggenheim” di Giampiero Mughini, peraltro appena reduce dall’esperienza in una… Casa di genere ben diverso, quella del Grande Fratello VIP, ma anche e soprattutto a “Casa come me/A house like me” (Settecolori Edizioni, Milano, euro 36), originale pellegrinaggio del novello Virgilio beat Carlos d’Ercole nelle case di quindici artisti, italiani e stranieri. 

Seguendo le orme della “Casa della Vita” di Mario Praz e della geometrica e monastica “Casa come Me” edificata dall’architetto Adalberto Libera per Curzio Malaparte a Capo Massullo, su un promontorio ad est di Capri, Carlos guida noi lettori, ammirati e stupefatti, nelle dimore di pittori, registi, fotografi, musicisti e perfino di un gallerista – scrittori no, eccezion fatta per Pablo Echaurren, perché, come nota Francisco Umbral, “la letteratura è una questione piccolo-borghese”, mentre “fare architettura è come fare una creatura: essere riempito, riempirsi, esplodere, esultare restando freddi in mezzo a circostanze complesse, diventare un cane contento” (Le Corbusier).

Ciò che accomuna le quindici case prese in esame, oltre alla presenza di ingenti quantitativi di libri, è il fatto di essere case “a misura d’uomo”: di volta in volta l’uomo che le ha volute, costruite, arredate, vissute. D’altra parte, negli ultimi anni, complici lockdown, quarantene e restrizioni varie, la casa si è affermata e riconfermata come “Lebensraum” di ciascuno di noi, spazio vitale in senso di oggetto di una fuga dalla dimensione pubblica e collettiva e di un ripiegamento individual-intimistico, che si può però salvare da una deriva ombelicale grazie alla condivisione degli spazi con amici e sodali, come in un ripensato – reale o virtuale – caffè Greco, o in una ancor più casareccia osteria dell’Ornitorinco di Fiume. 

Non è un caso neppure che il bel libro di interviste di Juan Manuel de Prada che ha ispirato il curatore del libro, peraltro articolista di vecchia data su “Domus”, s’intitoli “Penùltimas resistencias”: viene spontaneo pensare che, se il penultimo baluardo di resistenza in questi tempi postmoderni è la casa, l’ultimo sia il nostro stesso corpo, come in un habeas corpus 2.0, le cui recenti violazioni e infrazioni, nel quadro di uno stato democratico, sono forse meno brutali, ma di certo non meno inquietanti di quelle che hanno spinto a codificare il diritto in questione nelle fonti medievali del common law. 

A meno di non usufruire per bene, e assai più radicalmente, degli insegnamenti del sopracitato Malaparte in “Tecnica del colpo di Stato”, non ci resta che imitare, nel nostro piccolo, il tentativo di questi grandi creativi di dar vita alla loro Gesamtkunstwerk, alla loro opera d’arte totale, tra le quattro mura domestiche, sperando di poter un giorno dichiarare anche noi, guardandoci indietro: “Il giorno che io mi sono messo a costruire una casa non pensavo che avrei disegnato un ritratto di me stesso”.

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Camilla Scarpa

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