L’intervista. Cabona: “Giuliano Montaldo, il regista comunista capace di raccontare i fascisti della Rsi”

Un uomo alto, e non solo per statura, un uomo grande. Infatti sapeva pensare e distinguersi in un'epoca ancora di odio, come il dopoguerra

Giuliano Montaldo

Giuliano Montaldo

Giuliano Montaldo è morto. Genovese e genoano prestato a Roma, comunista, prima che regista, capace di rendere personaggi fascisti in Tiro al piccione, tratto nel 1961 dal romanzo autobiografico di Giose Rimanelli e presentato quell’anno alla Mostra di Venezia. Un uomo alto, e non solo per statura, un uomo grande. Infatti sapeva pensare e distinguersi in un’epoca ancora di odio, come il dopoguerra. Ne parla con barbadillo.it il critico cinematografico Maurizio Cabona.

Lei ha conosciuto Montaldo di persona o solo per i film?
“Per entrambi. Di persona a Milano quando Montaldo venne a presentare il suo film Il giocattolo allo Spazio Oberdan, in collaborazione con la Cineteca Italiana, per la rassegna retrospettiva ‘Gli italiani si guardano’. Era fine 2003″.
E dopo?
“Ci siamo visti in due Festival del cinema: uno piccolo e bello, a Narni, grazie ad Alberto Crespi e Lucrezia Viti, che in buona parte era dedicato ai film di Montaldo; e poi alla Mostra di Venezia, ma qui solo per un attimo”.
Che cosa sapeva del suo passato pre-cinematografico’
“Non molto. Me lo ha rivelato l’autobiografia Un grande amore (La nave di Teseo, 2021)”.
Grande amore di Montaldo era il cinema?
“No, lui era una persona normale. Il grande amore era la moglie, Vera Pescarolo”.
Lei come spiega la trasversalità del comunista Montaldo col fascista Rimanelli?
“Persone in buona fede, riversavano nelle loro opere la sincerità delle loro giovanili intenzioni”.
Il Montaldo ventenne era…
“… Un attore e, come tale, aveva esordito nel cinema in Achtung! banditi! di Carlo Lizzani (1950), girato per gli esterni sulle alture di Genova-Pontedecimo e ambientato  nel novembre 1944 del proclama del gen. Alexander, il ‘tutti a casa’ imposto alla Resistenza di britannici, che dovevano ritirare cinque divisioni dalla Linea Gotica per trasferirle in Grecia. Qui era cominciata la guerra civile appena le truppe tedesche si erano ritirate e i comunisti potevano vincerla”.
Continui…
“In Achtung! Banditi Montaldo era “il commissario Lorenzo”, commissario del Pci, non della polizia; un “patriota”, come si ascolta nel sonoro del film di Lizzani, non un partigiano. Il Pci di allora era quello di Palmiro Togliatti, nato a Genova anche lui, per il quale definirsi partigiano non era certo un complimento”.
Non lo era?
“No, al di fuori della propaganda. Lo si vide indirettamente, con l’amnistia del 1947, che recava il nome di Togliatti; e lo si vide direttamente, quando sempre Togliatti  denunciò o allontanò quelli che, nel Pci e nei suoi paraggi, volevano perpetuare la guerra civile. Si circondò  invece di intellettuali formatisi nei Gruppi Universitari Fascisti (Guf), come appunto Carlo Lizzani”.
Un cenno su Lizzani, che lei ha incontrato? 
“Giovane, era stato vicinissimo a Edda e a Vittorio Mussolini, oltre che a Enrico Fulchignoni, un figura da riscoprire, che dagli anni ’50 avrebbe rappresentato l’Italia all’Unesco. Nei giorni incerti di metà settembre ’43, ottanta anni fa, si incontrarono sul Lungo Tevere. Concordarono nella loro autocritica di giovani delusi, ma…”
“Ma…?
“Lizzani, ancora giornalista di Cinema, rivista di Vittorio Mussolini, pochi giorni dopo scelse la clandestinità coi comunisti, Fulchignoni, già regista teatrale e cinematografico, scelse la Rsi”.

Eric Cantona-Maurizio Cabona

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