I rapporti tra Italia e Libia nella stagione Andreotti-Gheddafi

Incentrato sulla documentazione d’archivio del politico romano conservata presso l’Istituto Luigi Sturzo, il volume delinea i rapporti di Roma con il leader libico salito al potere nel 1969

Il saggio “Andreotti, Gheddafi e le relazioni italo-libiche”

Un’analisi sistematica delle relazioni bilaterali fra Stati presuppone l’approfondimento dei fattori che influiscono sulle loro principali linee di sviluppo nel corso del tempo.

Valutazioni politiche, esigenze geo-strategiche, controversie risalenti al passato coloniale e interessi economici riconducibili in gran parte al tema degli approvvigionamenti energetici costituiscono il nucleo centrale del libro “Andreotti, Gheddafi e le relazioni italo-libiche”, edito nel 2018 dalla casa editrice Studium e curato da Massimo Bucarelli e Luca Micheletta con il contributo di altri autori.

Incentrato sulla documentazione d’archivio del politico romano conservata presso l’Istituto Luigi Sturzo, il volume delinea i suoi rapporti con il leader libico salito al potere nel 1969, individuando tra personalità dal temperamento opposto un punto in comune nella fede monoteista. 

Gli USA e l’”ossessione” libica

Nel contesto d’instabilità crescente dello scacchiere mediterraneo (installazione dei missili Pershing e Cruise nella base militare di Comiso, oggetto a più riprese di recriminazioni da parte di Gheddafi, che non celò ostilità agli accordi di Camp David, al dialogo tra Egitto e Israele e la disponibilità ad un avvicinamento “tattico” all’URSS) il deterioramento delle relazioni fra gli esecutivi di Washington e Tripoli fu innescato dal riacutizzarsi del contenzioso relativo alla sovranità del Golfo della Sirte.

L’embargo commerciale e petrolifero costituì il prologo alla decisione di Reagan – supportata dal consenso della larga maggioranza dall’opinione pubblica, ma di lunga “incubazione” a causa di divergenze interne alla sua amministrazione – di risolvere la questione con la forza, sottoponendo le città nemiche a bombardamenti aerei al culmine dell’operazione El Dorado Canyon (1986), “giustificata” da precedenti attentati terroristici che avevano coinvolto cittadini statunitensi sul suolo europeo.  

Preoccupata da eventuali ritorsioni contro le basi americane nel proprio territorio (puntualmente verificatesi a Lampedusa senza spiacevoli conseguenze), l’Italia si limitò – uniformandosi al comportamento dei paesi membri dell’Allenza atlantica e della CEE, con la scontata eccezione britannica – all’approvazione di sanzioni diplomatiche, mentre l’immagine di Washington veniva pesantemente offuscata dallo scandalo Iran-Contras. 

Sebbene gli autori riconoscano la difficoltà di stabilirne la reale consistenza, un canale  diplomatico venne attivato dall’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede William Wilson, poi costretto dal Dipartimento di Stato alle dimissioni. Convinto che i contrasti e l’interruzione delle trattative derivassero dal fatto che l’interessato interloquì direttamente con il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Andreotti – che pure aveva proposto una definizione della vertenza alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia bocciata dagli americani – annotò in privato la disponibilità al confronto di Gheddafi, imprevedibile ma non “fanatico” a differenza di come veniva dipinto dai circuiti mediatici. 

Il caso provocò attriti tra la Segreteria di Stato e il ledaer democristiano, consapevole che Reagan non volesse deliberatamente esplorare una soluzione multilaterale della crisi (non a caso boicottò il tentativo maltese di organizzare una conferenza degli Stati rivieraschi del Mediterraneo centrale), ma piuttosto affermare la priorità della sicurezza e della lotta al terrorismo – fenomeno accostato senza troppi indugi alla Libia – collocandoli nel quadro di una vera e propria emergenza nazionale. 

Le relazioni italo-libiche

Uno sguardo sulla politica italiana verso la Libia a partire dagli anni settanta riflette innanzitutto l’esigenza della costante – quanto problematica – ricerca di un punto di convergenza tra la solidarietà atlantica e la salvaguardia degli equilibri nel Mediterraneo, quest’ultima strettamente connessa alla questione israelo-palestinese.

Malgrado le espulsioni di massa e la massiccia confisca di beni della numerosa comunità italiana, i tratti della cosiddetta politica del “doppio binario” emergono come propensione a mantenere aperto il confronto con un interlocutore scomodo, nel solco della linea sostanzialmente filo-araba intrapresa da Moro. 

Mentre il rais, determinato a riappropriarsi a tappe forzate del controllo dell’industria energetica nazionale, costrinse le compagnie straniere – di concerto con gli altri paesi membri dell’OPEC – ad accettare l’aumento del prezzo di riferimento del petrolio, le ratifiche degli accordi di cooperazione economica, scientifica e tecnologica risposero da parte italiana alle necessità di ottenere condizioni vantaggiose negli approvvigionamenti, garantendo all’ENI di mantenere le concessioni detenute e di avvalersi della produzione estera diretta. E’ stata a lungo dibattuta la disputa sui meccanismi di compensazione in petrolio dei crediti dovuti a imprese italiane, periodicamente sospesi dal regime durante le frequenti congiunture economiche sfavorevoli. 

Persuaso di trovarsi di fronte al “male minore” di un paese non allineato, Andreotti dovette confrontarsi sin dal suo esordio da primo ministro con l’atteggiamento del colonnello, incline più per convenienza che per sincero convincimento alle aperture e capace di alternare lusinghe e minacce, come quando condizionò la conclusione di taluni accordi petroliferi alla fornitura di armi e di altri equipaggiamenti militari.

Rivelatrici dell’enorme difficoltà di archiviare definitivamente le scorie del passato, controversie trascinatesi per decenni confermano quanto il percorso di normalizzazione dei rapporti completato dal trattato di amicizia, partenariato e cooperazione dell’agosto 2008 sia stato accidentato.

Le richieste avanzate a più riprese da Tripoli sul risarcimento dei danni materiali e morali prodotti dall’Italia a partire dal 1911 – compresi quelli causati da vecchi ordigni della seconda guerra mondiale, per cui Roma s’impegnò a cooperare alla bonifica dei campi minati – devono essere inquadrate nella strategia finalizzata ad ottenere una norma di diritto internazionale che condannasse il colonialismo; lungi dal boicottare sul serio la ricerca della collaborazione, il rais avrebbe soddisfatto in tal modo le proprie ambizioni di ergersi a paladino del movimento panarabo dei paesi nordafricani. 

Se indennizzi simbolici erano già stati previsti come aiuti alla ricostruzione nel vecchio accordo di collaborazione economica del 1956, la tesi che la riparazione conseguente a illegittima dominazione coloniale non costituisse titolo per il trasferimento di risorse a vantaggio dei paesi in via di sviluppo è stata sostenuta dal docente universitario Guido Napoletano, incaricato dalla Farnesina di approfondire la tematica sotto il profilo del diritto internazionale. 

E’ stata invece completamente rimossa la spinosa vicenda dei profughi italiani rimpatriati dalla Libia i quali, ottenuto tale status giuridico nel 1974, si illusero inizialmente di poter essere indennizzati dal colonnello, pronto piuttosto ad attaccare con sprezzanti accuse di colonialismo e fascismo una comunità sorpresa dal fatto che una disputa ideologica ormai fuori dal tempo potesse attecchire con virulenza anche in Italia. Normative inadeguate e criteri procedurali poco snelli, stime dei beni confiscati effettuate al ribasso dai periti di vari Ministeri italiani e incompletezza dei risarcimenti dovuta all’inflazione galoppante facilitarono le amnesie di governi e opinione pubblica.    

Rilevanti divergenze e differenti sensibilità caratterizzarono le posizioni dei principali esponenti politici: in qualità di Presidente del Consiglio Bettino Craxi evidenziò spesso l’aspetto politico del terrorismo sminuendo un eventuale ruolo di Gheddafi nel processo di pace in Medio Oriente, anche per mantenere salda una maggioranza in cui partiti fortemente caratterizzati in senso filo-atlantico (repubblicani e liberali) reclamavano visibilità; Andreotti utilizzò da parte sua toni più critici verso gli USA, ribadendo la necessità di non spingere l’OLP verso posizioni estremistiche.

Gli episodi del sequestro della nave da crociera Achille Lauro e della conseguente crisi di Sigonella vengono sostanzialmente ridimensionati: le tensioni furono drammatizzate in buona parte da Spadolini, all’epoca Ministro della Difesa schierato a favore degli Stati Uniti e di Israele, ma non produssero – nonostante il clamore dei media – fratture destinate a durare, confermando piuttosto un approccio differente sulla condotta da tenere verso i paesi arabi.

Le turbolenze determinate da alcune situazioni di crisi (come il fallimento della missione multinazionale in Libano, cui aveva partecipato anche l’Italia tra le proteste di Gheddafi) e il coinvolgimento più o meno diretto di membri dei servizi libici prima negli attentati terroristici palestinesi di Roma e Vienna, poi in quelli di Lockerbie e del Tenerè determinarono il progressivo isolamento della Libia.

Nonostante lo stallo delle relazioni con l’Italia e la diffusione da parte dei servizi anglo-statunitensi di notizie che il regime (più tardi abile a schierarsi con l’occidente durante la guerra del Golfo) producesse armi chimiche, Roma favorì la costituzione di strutture di cooperazione come l’Iniziativa per il Mediterraneo occidentale. I tentativi erano destinati a rivelarsi effimeri poiché due risoluzione del Consiglio Sicurezza dell’ONU del 1992 sancirono il blocco del traffico aereo, il bando alla vendita di armi e l’espulsione dei cittadini coinvolti in atti di terrorismo, mentre il rais tentò di sfruttare la mediazione italiana con Gran Bretagna e Stati Uniti sul caso Lockerbie per restituire vigore ai rapporti bilaterali e provare a reinserirsi nella comunità internazionale.

Libia e Santa Sede: un ponte di pace nel Mediterraneo

Andreotti si ritagliò un ruolo non trascurabile anche nel difficile e graduale processo di dialogo che si concretizzò nel 1997 nel riconoscimento delle relazioni diplomatiche tra Libia e Santa Sede. 

Gli autori ricostruiscono i legami di profonda amicizia con il cardinale Sergio Pignedoli, presidente del Segretariato vaticano per i non cristiani artefice dei primi incontri avvenuti a Tripoli tra esponenti dell’Islam e del cristianesimo, nonché le fasi del rapimento del francescano Giovanni Martinelli, poi liberato a Malta; il ruolo strategico dell’isola come “ponte di pace nel Mediterraneo” venne peraltro sponsorizzato dalla Libia e soprattutto dall’Italia, sicura dell’importanza della sua posizione geografica in chiave anti-sovietica. 

L’azione, probabilmente tesa a sollecitare l’intervento del Vaticano per condannare le operazioni che gli Stati Uniti stavano preparando, non era rivolta contro il governo italiano (l’ambasciatore Reitano avvisò la Farnesina dell’intento di Gheddafi di utilizzare il caso per ritardare la restituzione dei passaporti), ma verso singoli religiosi accusati di raccogliere informazioni per conto di servizi segreti stranieri non meglio identificati.

Il percorso di profonda revisione dell’integralismo islamico avviato dal colonnello e la sua graduale sconfessione del califfato incoraggiarono le iniziative di Andreotti e Raffaello Fellah (imprenditore e profugo ebreo dalla Libia) che confluirono nel progetto del “Trialogo”, un’associazione di esponenti di rilievo delle tre fedi monoteiste impegnata nel contrasto ai conflitti in Medio Oriente. 

Ben strutturato e ricco di spunti, il lavoro approfondisce pregi e limiti dell’azione politica di Andreotti (e sullo sfondo dell’intera classe dirigente della prima Repubblica) senza cedere troppo a tendenze agiografiche oggi abbastanza in voga, ma è talvolta appesantito dalle sovrapposizioni di tematiche contemporaneamente analizzate nelle varie monografie; appare poi debole, in quanto privo di sbocchi immediati e concreti, il legame individuato tra i due protagonisti, basato sulla comune sensibilità al dialogo inter-religioso prima ancora che a quello politico.

@barbadilloit

Andrea Scarano

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