Il caso. Francisco Franco e Primo de Rivera non riposano più nella Valle de Los Caidos

Le salme sono state esumate trasferite per l'odio socialista.Ma rimarranno nel cuore dell'Hispanidad

Questo articolo-recensione è dedicato a due figure centrali della storia spagnola ed europea del XX secolo. Due personaggi che sono ormai demonizzati dal sistema e dai libri di scuola, ma che tutti gli uomini liberi debbono conoscere in modo obiettivo e per quanto è lecito apprezzare. Senza canonizzazioni facili, ma con il giusto discernimento.

Si tratta di uomini politici che ebbero destini diversi, ma valori convergenti. I valori convergenti, in estrema sintesi, furono quelli della difesa della causa di Dio, della patria, della famiglia e della tradizione culturale spagnola.

I destini diversi furono dovuti agli imponderabili eventi della storia. José Antonio (1903-1936) era il figlio del generale Miguel Primo de Rivera (1870-1930), il quale con piglio fermo guidò la Spagna sulla via di un’autentica modernizzazione, dal 1923 al 1930. José Antonio fu il fondatore della Falange spagnola (1933) e per il suo impegno politico venne fucilato nel 1936, quando aveva 33 anni, dopo un processo-farsa ordito dai suoi avversari. La sua vicenda, eroica e tragica, è ricordata in un libro recente e completo (cf. Adolfo Muñoz Alonso, La Spagna è un destino! Vita di José Antonio Primo de Rivera, Oaks, 2022, pagine 378, euro 25).

Francisco Franco (1895-1975) fu un militare di carriera, che sin da giovanissimo si mise in valore per il coraggio e le capacità sul campo. A 21 anni era già capitano, e in seguito generale. Dopo il necessario alzamiento del 1936, in difesa della civiltà minacciata dal comunismo, divenne capo del Governo. E tale restò fino alla morte, avvenuta nel 1975. In italiano esiste un’ottima biografia storica, scritta da un dotto sacerdote spagnolo (cf. Manuel Garrido Bonaño osb, Francisco Franco cristiano esemplare, Effedieffe, 2014, pagine 288, euro 15,40).

Furono due personalità rare, che ebbero qualcosa di eroico e di mirabile nei loro stessi eccessi di zelo, di slancio e di impegno per l’ordine, il bene comune e la dignità umana che il comunismo, a partire da Mosca, voleva cancellare in Europa. In essi va segnalato, al di là delle singole (e a volte discutibili) opzioni politiche, l’ardimento, il coraggio, l’intraprendenza, la fede religiosa, la fedeltà all’hispanidad e il senso dell’onore.

Essendo impossibile tracciare in breve due vite colme di fatti, di passaggi e di battaglie e volendo favorire la lettura delle due biografie storiche che presentiamo, ci limiteremo ad alcuni schizzi fugaci.

Concentrandoci, a beneficio del lettore, sulle personalità dei loro rispettivi biografi, l’uno e l’altro innamorati del loro oggetto, ma anche competenti e documentati, autorevoli e degni di fiducia.

Sia il caudillo Franco che il falangista Primo de Rivera, a 40 anni di distanza, dopo i partecipatissimi funerali di Stato che ebbero, celebrati da alti esponenti della gerarchia cattolica, furono inumati nella Valle de los Caidos. Quel cimitero-simbolo, idea geniale e pacificatrice di Franco, in cui furono sepolti sia i repubblicani (marxisti e anarchici) che i nazionalisti (cattolici) che si erano combattuti durante la tremenda guerra civile (1936-1939).

Ma entrambi, decenni dopo la loro morte, sono stati disseppelliti dal monumentale cimitero, con atteggiamento squallido e ipocrita, per non dire da selvaggi. E per volontà del potere politico socialista, sono stati sepolti in piccoli cimiteri periferici e meno in vista. Franco fu esumato e traslato nel 2019, Primo de Rivera nel 2023.

Cosa può far paura nei corpi senza vita di due uomini politici, rimasti politicamente senza eredi, nella Spagna laicista e anticristiana di oggi? Sapersi dare una risposta, e una risposta intelligente, significa aver già capito l’animus profondo dei due eroi della patria.

La voce, sicuramente non sospetta di nazionalismo cattolico, che Wikipedia dedica al fondatore della Falange, si conclude così: “L’ultima statua rimasta in Spagna di José Antonio Primo de Rivera è stata rimossa da Guadalajara nel marzo 2005 per ordine del governo Zapatero che ritenne la statua non adatta a uno Stato democratico”. Eppure, dopo la fucilazione del trentatreenne, la Spagna si riempì, sempre secondo Wiki, di “diverse vie intitolate, moltissime targhe e alcuni busti commemorativi del leader falangista”. Chissà come mai. Anche le statue di Franco erano decine, ma la violenza di chi odia la storia le ha abbattute, una dopo l’altra, esattamente come venivano abbattuti i religiosi cattolici e le chiese, dai militanti del progresso.

Lo “Stato democratico” come lo intende Zapatero e come lo vogliono i liberal-socialisti è assolutamente antitetico alla società organica, omogenea, patriottica, sociale, nazional-popolare, di impianto cristiano per cui lottarono e diedero la vita sia Franco che de Rivera. E su questo siamo perfettamente d’accordo con il leader socialista.

Il biografo di Franco, padre Manuel Garrido Bonaño osb, è un illustre storico benedettino che ha passato la vita a studiare la storia e la teologia, frequentando archivi e raccogliendo le testimonianze di molti di coloro che erano stati accanto al generale spagnolo. Dopo i voti presso l’abbazia di Burgos, viene ordinato sacerdote nel 1952 e inviato a Roma a studiare liturgia presso l’Ateneo s. Anselmo. Sarà assistente dei Vescovi spagnoli al Concilio, consultore alla Congregazione dei Riti e docente di liturgia in Spagna. Gli ultimi anni li ha vissuti nell’abbazia annessa alla Valle de los Caidos, voluta da Franco e osteggiata dai politici dei nostri tempi. I quali vorrebbero cacciare i monaci e persino rimuovere la croce fatta erigere nel 1940. La quale sembrerebbe essere la croce cristiana più alta al mondo (150 m)…

Non meno illustre è il biografo di José Antonio, al quale la Treccani on line, dedica una voce sintetica e essenziale. Adolfo Muñoz Alonso (1914-1974) infatti fu un filosofo spagnolo che visse tutta la parabola della guerra civile e della faticosa liberazione della Spagna dal comunismo, fino alla fine del governo Franco.

Il biografo, dunque, studiò a Roma, presso la Gregoriana, dove si laureò in teologia nel 1937, mentre a Madrid si laureò in filosofia nel 1944. Insegnò in prestigiose università ispaniche e “fondò e diresse le riviste filosofiche “Crisis” e “Augustinus”. La sua lettura quindi della vita di Primo de Rivera non è quella di un fan scapigliato e partigiano, ma quella di un intellettuale cattolico di alto profilo che fu anche un esponente del “personalismo cristiano”, oltre che uno scrittore di filosofia, teologia e politica.

Il venerabile Pio XII, che sottoscrisse nel 1953 un Concordato con la Spagna di Franco, definì quel testo un “concordato modello” e conferì al caudillo “l’Ordine supremo del Cristo”, la massima onorificenza vaticana. Giovanni XXIII, dal canto suo affermò: “Franco fa leggi cattoliche, aiuta la Chiesa, è un buon cattolico, che cosa gli si può chiedere di più?”. E Paolo VI disse che “Franco ha fatto molto bene alla Spagna e l’ha preparata per uno sviluppo straordinario in una epoca di pace”. “Franco merita un congedo glorioso e un ricordo pieno di gratitudine”, dichiara Montini.

Gratitudine anche per aver impedito alla canaglia di sterminare il cattolicesimo spagnolo. Dal 1933 al 1939 infatti gli amici di Stalin uccisero migliaia di cristiani, tra cui 12 vescovi e circa 6000 sacerdoti. I martiri del comunismo in Spagna, beatificati e canonizzati da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, sono già oltre 2000: preti, frati, laici, suore, semplici catechisti e perfino bambini, innocenti come Cristo. Secondo mons. Antonio Montero, forse il più grande storico della guerra civile, assieme all’ex marxista Pìo Moa, la persecuzione dei cattolici in Spagna è stata la più cruenta e sistematica dai tempi di Diocleziano.

Il decreto di erezione della basilica-abbazia della Valle de los Caidos, datato 1 aprile 1940 e promulgato dopo la liberazione della Spagna, afferma che il complesso monumentale servirà a “perpetuare la memoria dei caduti della nostra gloriosa Crociata”. Il termine, emblematico e appropriato, fu usato anche dai vescovi spagnoli nella lettera collettiva, pubblicata nel 1937, in favore dei nazionali e della loro opera di restaurazione.

Preferiamo lasciare al lettore interessato la “beata pena” di documentarsi e approfondire sui chiarissimi testi indicati, piuttosto che aggiungere altro. Ma una cosa è certa: dobbiamo insegnare ai nostri figli e nipoti ad andare contro corrente nella lettura della storia moderna e contemporanea. Non è sempre agevole, specie negli anni del liceo e dell’università, ma è il prezzo da pagare per restare liberi nel giudizio, chiari nella coscienza e sottili nel discernimento.

@barbadilloit

Pepe Reina

Pepe Reina su Barbadillo.it

Exit mobile version