Storie. Kronstadt 1921: i marinai e la rivoluzione tradita

In quell'anno avviene la rivolta nella base navale nel Golfo di Finlandia.  I marinai, le ciurme della flotta del Baltico, si ribellano. Sono i figli prediletti della rivoluzione

Kronstadt 1921

Kronstadt 1921

Il 7 novembre 1917 (25 Ottobre per l’Unione Sovietica) avviene l’assalto al Palazzo d’Inverno degli zar. L’insurrezione guidata dai bolscevichi è contro il governo provvisorio di Kerenskij. Lo zar Nicola II e la sua famiglia da mesi sono detenuti a Ekaterinburg dove saranno trucidati per il timore di una loro liberazione da parte dell’Armata Bianca.  Di loro resterà la ricevuta dell’acquisto dell’acido solforico, 80 chilogrammi in tre bombole, per distruggere i corpi ed evitare reliquie per il popolo. Di quei giorni di tragica vigilia la foto poco regale delle granduchesse e di Alessio con la testa rapata per la rosolia contratta. 

L’ottobre ha un suo prologo nella sommossa del 25 febbraio germogliata dalle masse senza i capi, come la Comune di Parigi. I possibili cavalieri dell’Apocalisse sono quasi tutti esuli e Lenin è a Capri a giocare a scacchi con Massimo Gorki che sembra essere l’unico letterato destinato a sopravvivere alla strana moria dei poeti suicidi dopo la rivoluzione. Ahimè, quasi settantenne una tisana di Stalin gli sarà fatale.  Stalin era un dispensatore generoso di infusi terminali, sembra che servisse anche Lenin malato.

Nell’isola del Golfo di Napoli Lenin è con Ines Armand la sua amante di tutta una vita, con la condiscendenza della moglie, la Krupskaja. Ines è una francese sposata ad un russo che vede nel suo Il’ic un bolscevico, un marito modello, uno scapolo libero. William Frey, questo il suo nome in esilio, da allietare con Beethoven negli incontri segreti e con Chopin quando l’ictus lo renderà muto.

Un colpo di cannone a salve dell’incrociatore “Aurora” segnala l’inizio della sedizione. Arrivano le navi della Flotta del Baltico con i marinai di Kronstadt che hanno già ucciso l’ammiraglio. Un grido si ripercuote nella notte: “Tutto il potere ai soviet!” I marinai per il loro comportamento verranno definiti onore e gloria della rivoluzione. I commissari hanno proibito il saccheggio degli arredi. “Adesso è roba di proprietà del popolo,” perentori. E le guardie rosse devono svuotarsi le tasche già colme.

Gli storici affermano incruenta la presa del Palazzo ma dimenticano il battaglione femminile, detto della morte, schierato a difenderlo.  Una sua sortita alla baionetta non ha esito, le novelle amazzoni vengono sopraffatte. Catturate sono violentate sino all’ultimo respiro, questo il pegno pagato per essere donne. Un rituale meschino che sarà ripetuto in successive situazioni che ben conosciamo.  Le immagini della presa del palazzo riportate nei libri e riviste sono false: rifatte con figuranti, eseguite per le riprese del film “Ottobre” del regista Eisenstein. 

È stato un colpo di stato. Lenin è rientrato con il treno piombato in parte e il biglietto pagato dai tedeschi. La Germania è in guerra con la Russia e ha interesse che qualcuno vada a sobillare l’esercito nemico. Ed ecco la conferma: il commovente abbraccio tra i soldati delle opposte trincee ma poi i tedeschi riprendono a sparare con zelo, i russi invece disertano. 

Lenin insiste per l’insurrezione, vuole bruciare i tempi anticipando l’Assemblea Costituente. Alla Duma i bolscevichi non hanno la maggioranza. Se i menscevichi e i socialisti rivoluzionari procedono come lumache peggio per loro. Infatti, ortodossi di Marx, attendono che lo zarismo venga abbattuto da una rivoluzione borghese. La Russia deve diventare un paese capitalista e in seguito, dopo la sua crisi, nascerà la società socialista. I bolscevichi invece sono per le scorciatoie e annunciano cosa faranno: un armistizio di tre mesi e poi la pace, il trattamento tra soldati e ufficiali eguale, la terra dei latifondi distribuita ai contadini, gli operai non avranno più un padrone, saranno istituiti i tribunali del popolo…  Parole d’ordine efficaci, affascinanti. Come non essere d’accordo?

Eppure, pochi anni dopo nel 1921 avviene la rivolta di Kronstadt, la base navale nel Golfo di Finlandia.  I marinai, le ciurme della flotta del Baltico, si ribellano. Sono i figli prediletti della rivoluzione, quelli che hanno donato la vittoria ma adesso protestano per le misure adottate dai bolscevichi contro gli scioperi a Mosca e Pietrogrado. Qui a Febbraio viene ridotta la razione di pane e gli operai chiedono “lavoro libero”. Scendono in strada a manifestare, sono i lavoratori delle fabbriche funzionanti. Le autorità definiscono lo sciopero pigrizia al lavoro. I dimostranti chiedono scarpe e indumenti invernali, gira voce che ai dirigenti del partito le scarpe siano state date. Si dice che nelle caserme i soldati, ritenuti infidi, sono stati lasciati scalzi per impedire così di unirsi agli operai. Infatti, la repressione viene affidata agli allievi ufficiali, i junkers. La colpa viene attribuita ai socialisti e innumerevoli sono gli arresti e le fucilazioni della Ceka.  Nelle campagne non va meglio.  Viene requisito tutto il grano per gli operai e i soldati, i contadini per rivalsa non seminano più. Muoiono di fame e c’è persino del cannibalismo. Dopo il conteggio dei morti, Lenin, il regista della carestia, avrà la sagace intuizione della NEP (Nuova Politica Economica), cioè qualche passo indietro con la liberalizzazione dei prodotti agricoli. 

I marinai, sempre riottosi alla disciplina, recepiscono e amplificano il malcontento, il collasso economico. Insomma, presentano il conto per le promesse non mantenute. Contestano la militarizzazione del lavoro che rende gli uomini schiavi. Loro, marinai ed operai, sono per un comunismo libertario: “I Soviet senza i comunisti!” Mandano un comitato a trattare, i componenti vengono arrestati e scompaiono. Kronstadt si sente libera, stampa le Izvestija, si prepara a libere elezioni. Vuole la terza rivoluzione, quella vera, senza i bolscevichi.

Ma le circostanze le sono contro. Gli stati “democratici” perduta la speranza di detronizzare Lenin sono ansiosi di fare trattati commerciali. L’ultimo generale bianco, il barone Pietro Wrangler, fedele al trono e all’altare, sconfitto fugge a Costantinopoli e terminano così tre anni di guerra civile. Arriva il grano umanitario degli americani che non indagano su la Ceka, la polizia segreta russa. Questa sta instaurando il terrore rosso colpendo qualsiasi dissidente dal verbo bolscevico. 

Kronstadt è l’urlo disperato contro la rivoluzione tradita ma viene denunciata da Zinoviev, responsabile della zona, come una cospirazione di controrivoluzionari, di russi bianchi. Calunnie propagate tramite la radio e i giornali.

Dopo una decina di giorni di aspri combattimenti il 19 Marzo c’è l’attacco dei soldati di Tukacevski. Sfruttano il mare ghiacciato per giungere alla fortezza e sono avvolti in lenzuoli bianchi per mimetizzarsi. Gli assalitori subiscono pesanti perdite in quella marcia della morte. Per loro un tripudio di ghiaccio, fuoco e sangue, un Valhalla per eroi che non sono eroi. Le diverse forze in campo sono smisurate, i governativi sfondano le difese e avviene una carneficina degli insorti. I bolscevichi praticano la stessa diplomazia usata dagli sgherri dello Zar nella “domenica di sangue”. Per indicare come i capi fossero sconvolti da questo evento, Trotskij, comandante dell’Armata Rossa, dopo aver chiesto loro di arrendersi senza condizioni propone di usare i gas. Lenin definisce l’ammutinamento un lampo abbagliante.  I soldati che operano la strage verranno spostati subito in terre lontane affinchè non raccontino l’eccidio dei “compagni ribelli”. Appellati così a indicare le “riguardose reticenze”.   Il governo finlandese si guarderà bene dal valutare un intervento, chiederà soltanto la rimozione dei cadaveri, con il disgelo potrebbero provocare un’epidemia. 

Centinaia di rivoltosi vengono fucilati senza processo, qualche migliaio si salva fuggendo in Finlandia compreso Petricenko, il capo. I fuggiaschi portano con sé i cavalli e gli otturatori dei cannoni per renderli inutilizzabili. Con il bombardamento di Kronstadt la rivoluzione d’ottobre perde la sua verginità. “I fiori sono caduti, i fuochi spenti…” Il regime bolscevico ha strappato al socialismo la sua anima. 

Nel Maggio del 1922 a Genova viene indetta la Conferenza Economica Internazionale. La delegazione russa si fa fotografare sulla terrazza dell’Hotel Imperial Palace di Rapallo, è l’ingresso della Russia nel consesso delle Nazioni. Uno degli oratori è Majakovshij, il poeta della rivoluzione. Otto anni dopo il poeta si suicida. Diranno che è stato per dissapori con la giovane amante ma c’erano anche le critiche del Partito insofferente al suo sarcasmo, alla sua ironia. Colpa dell’amata Veronica o della politica? La confusione è ammessa, entrambe possono essere infedeli. Per la verità l’infedele era lui che frequentava assiduamente una donna sposata, Lilja Brik, sua fonte di ispirazione.

Una pallottola nel cuore e l’ultimo biglietto: “… per favore, niente pettegolezzi.” La stessa richiesta fatta vent’anni dopo, nel suo addio, da Cesare Pavese! 

gianfranco andorno 

Gianfranco Andorno

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