La protezione del mare e la lotta alle microplastiche viste da Londra

Un accordo storico per proteggere gli oceani del mondo è stato firmato alle Nazioni Unite dopo 10 anni di colloqui tra 200 paesi e salutato da Greenpeace come la "più grande vittoria di sempre per la conservazione". Lo scrive Metro. Ma come stanno davvero le cose?

La lotta contro le microplastiche

Siamo salvi! Un accordo storico per proteggere gli oceani del mondo è stato firmato alle Nazioni Unite dopo 10 anni di colloqui tra 200 paesi e salutato da Greenpeace come la “più grande vittoria di sempre per la conservazione”. Lo scrive Daniel Binns a caratteri cubitali, in prima pagina su Metro del 6 marzo 2023. C’è da stare allegri, insomma. La notizia del quotidiano inglese rincuora. Il trattato d’alto mare concede lo status di protezione al 30% delle acque internazionali entro il 2030 rispetto all’1,2% attuale. Aiuterà la vita marina controllando le dannose attività minerarie ed esplorative in acque profonde, nonché la pesca e il trasporto marittimo. L’accordo, che ha fatto seguito a due precedenti offerte in stallo, è stato firmato a New York dopo una maratona di 38 ore. Laura Meller, attivista per gli oceani di Greenpeace, ha dichiarato: “Questo è un giorno storico per la conservazione e un segno che, in un mondo diviso, la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica”.

La biologa marina Rebecca Helm ha dichiarato: “Proteggere questa metà della superficie terrestre è assolutamente fondamentale per la salute del nostro pianeta”. Mentre la sua collega, esperta oceanografa, Nicola Clark ha dichiarato: “Questa è un’opportunità unica nella nostra generazione per proteggere gli oceani: una grande vittoria per la biodiversità”. Intanto sulla prima pagina del quotidiano una tartaruga marina verde nuota pacifica vicino alla baia di Honolua sull’isola di Maui, alle Hawaii (Immagine Shutterstock).  “L’alto mare è al di fuori del controllo dei governi nazionali e praticamente senza legge, nonostante copra metà del globo.   

Il trattato non è ancora legalmente vincolante ed è soggetto all’approvazione di ogni singolo paese. E una promessa delle nazioni più ricche di fornire maggiori finanziamenti non è supportata da cifre. Tuttavia, i vertici successivi dovrebbero entrare nei dettagli, definendo un quadro per accordi futuri. Include impegni per condividere le risorse e per valutazioni ambientali prima di attività commerciali come l’estrazione mineraria.” Insomma incrocia le dita e spera.

Sul giornale una veduta aerea di un branco di delfini vicino alla baia di Jervis in Australia rinfranca.  “Sarà inoltre creato un nuovo organismo per gestire la conservazione della vita oceanica. Molte specie, tra cui tartarughe marine, delfini, balene e molti pesci, effettuano lunghe migrazioni annuali, attraversando i confini nazionali e l’alto mare, ma sono sempre più minacciate dalla pesca eccessiva, dallo sfruttamento commerciale e dall’inquinamento da sostanze chimiche e plastica.

Gli sforzi per proteggerli – e gli esseri umani che dipendono dalla pesca o dal turismo – sono stati ostacolati da un confuso mosaico di leggi. Le stime dicono che quasi il dieci per cento della vita marina è ora a rischio di estinzione.” L’attrice Jane Fonda, in  una foto fresca di parrucchiere, si rivolge ai giornalisti alle Nazioni Unite durante la campagna. La star di Hollywood e attivista veterana, l’85 enne Jane Fonda, ha svolto un ruolo importante nell’accordo sugli oceani. L’arzilla vegliarda ha fatto pressioni sui delegati dopo aver consegnato personalmente una petizione firmata da 5,5 milioni di persone provenienti da 157 paesi. E in un appassionato discorso alle Nazioni Unite a New York, ha esortato le nazioni a unirsi per “salvare questo grande alleato che abbiamo chiamato l’oceano che può salvarci”.

La succulenta star di Barbarella e Nine To Five ha detto ai giornalisti, sempre dalla notizia su Metro: “Anche i cani non fanno la cacca nel loro canile perché sanno che il canile fornisce loro sicurezza e una casa. Stiamo facendo la cacca nel nostro canile”. “Dovremmo essere così intelligenti da non farlo. Stiamo distruggendo cose che non capiamo nemmeno. Non ci stiamo comportando bene, e il motivo per cui il trattato è importante è che ci costringerà a comportarci bene”. Le parole della figlia del fascinoso babbo Henry Fonda ci tranquillizzano. Ci voleva una personalità del suo calibro per convertire il mondo all’Eco e ammonire: “Non fatela fuori dal bidet!” Tutto bene dunque! Finalmente sulla strada giusta, il mondo sotto controllo verrà ripulito da ogni schifezza e rivedremo volentieri Barbarella sgambettare…Tutto bene?…No. Su Metro del 9-marzo-2023 Alice Clifford scrive:  “171 trilioni di pezzi di plastica stanno inquinando i mari mentre i numeri continuano a salire. L’inquinamento da plastica sta aumentando rapidamente, i nostri oceani sono a rischio.

Circa 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica intasano i mari e la situazione peggiorerà se i trattati globali per limitare l’inquinamento non saranno concordati presto, avvertono gli esperti”. Presto significa Subito! “L’incapacità di affrontare il problema vedrà gli attuali livelli di inquinamento aumentare di circa 2,6 volte entro il 2040, mostrano i dati. La previsione arriva dopo che lo studio di 40 anni ha monitorato i livelli di rifiuti di plastica nel nord e nel sud dell’Atlantico e del Pacifico, nell’Oceano Indiano e nel Mediterraneo. Il ricercatore Marcus Eriksen, co-fondatore del The 5 Gyres Institute, ha dichiarato: “Abbiamo riscontrato una tendenza allarmante di crescita esponenziale delle microplastiche nell’oceano. Questo è un duro avvertimento che dobbiamo agire ora su scala globale. Abbiamo bisogno di un trattato globale delle Nazioni Unite forte e giuridicamente vincolante che fermi il problema alla fonte”. John Vidal, a former Guardian environment editor non ha remore nel dire su The Guardian del 9 gennaio 2023: “Il nuovo divieto dell’Inghilterra sulla plastica monouso suona bene, ma è una resa alle grandi imprese”.

Alimentata dalla richiesta di imballaggi usa e getta, la produzione globale di plastica è cresciuta a razzo  raggiungendo i 390,7 milioni di tonnellate nel 2021. Non è tutto. Svincolate da qualsiasi controllo governativo, le compagnie petrolchimiche cercano con ogni mezzo di contrastare la recessione mondiale incombente realizzando nuovi impianti, come quello della Shell negli Usa. La portata dell’inquinamento da plastica, soprattutto nell’ambiente marino, è inimmaginabile…

La Gran Bretagna potrebbe dare l’esempio morale, ma la domanda è se le conviene. Arginare la produzione di plastica si può, basta volerlo e ti renderebbe santo. La Gran Bretagna: capofila di una crociata non più procrastinabile che sta cercando il suo leader ancora vacante. Certo è che mettere al bando cannucce e posate è un inizio un po’ misero.
Chi lo dice adesso alla vegliarda Jane Fonda e a Greenpeace che entusiasmo e aspettative vanno ridimensionate e di molto. Alla radice del problema nessuno per ora ha il coraggio di andare. Business first of all.

@barbadilloit

Lorenzo Ferrara

Lorenzo Ferrara su Barbadillo.it

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